PHOTO
A Sanremo si parla di donne, sperando nell’applauso facile. Che arriva, perchè siamo all’Ariston ed è per antonomasia il palco dei buoni sentimenti e delle buone intenzioni.
La prima serata del settantesimo Festival della canzone italiana scorre sopra le polemiche della vigilia (la fidanzata di Valentino Rossi scelta perchè ha saputo «stare un passo indietro rispetto a un grande uomo» è stata la prima gaffe del presentatore Amadeus, proprio mentre diceva che il festival sarebbe stato dedicato alle donne) e le sommerge con l’onda di spirito nazional-popolare che è l’unica vera costante di settant’anni di show. Dodici cantanti in gara, poi altri dodici oggi nella seconda serata. Per un festival «dedicato alle donne» (ammesso che voglia dire qualcosa, al di là della quantità degli immancabili mazzi di «fiori di Sanremo» da preparare dietro le quinte), di donne in gara ce ne sono davvero poche: l’inaffondabile Rita Pavone tornata a fare se stessa dopo 47 anni di assenza dall’Ariston; Irene Grandi anche lei in gran spolvero dopo almeno dieci anni di eclissi; Giordana Angi ed Elodie, entrambe stelline della scuola di Amici di Maria De Filippi, che già in passato si è dimostrata fucina di vincitori; Elettra Lamborghini e il suo twerking così fuori luogo da immaginare sul palco da rischiare di essere la vera sorpresa; Levante e infine Tosca. Sette su ventiquattro e va benissimo, perchè lo spettacolo è una dittatura e il giudizio del direttore artistico determina la cifra dello show, di successo o dimenticabile che poi sia. Amadeus - che non manca un attimo di ricordare come lui «abbia voluto da mesi» questo o quello, che sia l’amico Fiorello come super ospite o proprio il filo conduttore femminile - probabilmente avrà ragione, alla fine. Il suo spettacolo, al netto degli inciampi nelle conferenze stampa, rappresenta un tipo di Italia rassicurante: quella della galanteria del fiore; del «bellissima» come riflesso incondizionato ripetuto ad ogni nuovo vestito delle vallette (per il politicamente corretto si chiamano co-presentatrici); dei lacrimosi grazie alla nonna seduta in prima fila che faceva una buonissima crostata al mandarino; della giusta contrizione davanti al monologo contro la violenza sulle donne «che non deve succedere mai più». Siamo sempre su Rai 1 per sei sere di fila e lo spettacolo generalista che Sanremo incarna ha un unico ambizioso obiettivo: far sentire meglio chi lo guarda, strappando un emozionato applauso al pubblico in sala. Che tutto questo funzioni, nel primo festival targato Amadeus, si vede già dalla prima puntata. La diretta si stiracchia pigramente fino quasi alle due di notte così che tutti possano lamentarsene il giorno dopo, lui conduce utilizzando un «bello» come aggettivo per qualunque cosa, declinato al superlativo con grande generosità. Così non sbaglia mai: bellissima è la mise di Diletta Leotta con reminiscenze di Belle della Bella e la Bestia, ma bellissima è anche la cover di Almeno tu nell’universo di Tiziano Ferro che imperversa per ben tre volte fino all’una passata, bellissimo, poi, è anche il monologo di Rula Jebreal che parla di femminicidio. A parole, c’è tutto per uno show che parli di donne (che nella grammatica stilistica devono essere belle perchè, insomma, ha stufato questo femminismo un tanto al chilo). Diletta Leotta oltre a essere bella è anche «laureata in giurisprudenza» e parla anche, nel suo monologo esalta nonna Elena («che da giovane era bellissima e lo è anche adesso») e la ringrazia non solo per la crostata ma anche perchè le ha dato il miglior consiglio: «La bellezza è un peso che con il tempo ti può fare inciampare se non la sai portare». Poi prova a concedersi l’unico momento divertito, spiegando che la bellezza non è un merito «ma è un vantaggio, altrimenti col cavolo che sarei qui». Rula Jebreal racconta storie di donne, tra le quali quella di sua madre, vittime di femminicidio in tutto il mondo e a fronte declama versi delle canzoni di uomini - De Gregori, Vasco Rossi e Battiato - meravigliandosi che loro sappiano scrivere di donne in modo così rispettoso. Poi chiede che si parli di come lei era vestita a Sanremo, ma non di come era vestita una donna la notte in cui è stata stuprata. Che le donne vengano «lasciate essere» ciò che vogliono. Tutto giusto, lacrime tra il pubblico e anche negli occhi della Jebreal, standing ovation. Ed è davvero tutto giusto nella bidimensione di un televisore: la reginetta di bellezza e la dama dolente. Entrambe egualmente in carriera, egualmente belle, egualmente limitate dai maschi che dovrebbero farsi da parte come fa Amadeus, che ripete «bravissima» ogni volta che una di loro (o delle varie ospiti, da Romina Carrisi a Gessica Notaro) riescono a leggere dal gobbo senza sbagliare il titolo della canzone, chi l’ha scritta, chi la canta e chi dirige l’orchestra. Il pubblico, certo, si applica moltissimo per sentirsi parte di uno spettacolo d’alto valore culturale che rivaluta il ruolo della donna, negando l’applauso a scena aperta all’unico vero picco di uno spettacolo che sarebbe, incidentalmente, un concorso canoro in scena nel 2020: la tutina color carne con pelle tatuata e i piedoni nudi di Achille Lauro. Lui sembra essere l'unico aggiornato al fatto che sarebbe bello sbrigliare dagli stereotipi di genere non solo la donna ma anche l’uomo e per questo, novello San Francesco che si denuda del mantello, urla in faccia alla prima fila di vip in poltrona rossa «me ne frego, la la la». Insomma, spiace - ma forse è pretendere troppo e toglierebbe il lieto fine - che a mancare sul palco sia l’autoironia. Ogni donna che sale sul palco, inguainata nel suo baroccheggiante vestito da sera o condita di paillettes, si prende moltissimo sul serio e non si chiede nemmeno per un secondo se non faccia un poco sorridere questo tripudio di buone intenzioni. Se Sanremo non sia il circo più riuscito dell’anno perchè dei 10 milioni di italiani che lo seguono una buona fetta sta su twitter a commentare i lacrimoni scesi dalle gote di Tiziano Ferro mentre sbaglia clamorosamente il finale della canzone di Mia Martini. Se non suoni almeno un po’ ridicolo che una che fa di mestiere la presentatrice televisiva dica che «la bellezza càpita», quando parte del lavoro è star sedute al trucco e parrucco (come anche la sera prima del debutto all’Ariston) e quella bellezza non è affatto una casualità, ma risultato faticosamente ottenuto. Insomma, vien da chiedersi perchè delle tante donne scelte da Amadeus (ben dieci si alterneranno sul palco con lui, forse per ovviare al fatto che Sanremo lo presenta pur sempre un uomo) manchi proprio quella capace di ridere dei luoghi comuni su se stessa, che non sente la necessità di spiegare agli altri cosa sia una donna, nè di rivendicare con orgoglio qualcosa. Per questo, il momento forse più femminista e memorabile di questo Sanremo lo regala un uomo. I due big della canzone nazionalpopolare riuniti con gran giubilo dei fan, Al Bano e Romina, scendono dalla spaventosa scalinata dell’Ariston (tutte e tutti, da settant’anni a questa parte, non sono capaci di risparmiarsi la battuta su quanto sia difficile farla senza cadere) e al penultimo gradino lui rischia di franare a terra. Al Bano incespica, Romina sfavillante nei suoi veli bianchi lo sorregge come un consumato chauffeur e poi non trattiene lo sghignazzo. In quella risata di Romina, che poi canta Nostalgia Canaglia e Al Bano restituisce il favore correggendole l’intonazione, c’è il massimo della parità tra i sessi possibile all’Ariston: lui, quello senza tacchi, che rischia il capitombolo al penultimo dei quindici gradini. C’è da sperare che nella settimana sanremese - anche per la sopravvivenza dei maratoneti delle cinque ore per sei sere di fila - accanto alla giusta dose di televisione come impegno sociale, ci sia anche un pizzico di questo: la capacità di non prendersi troppo sul serio. Perchè, in fondo, sono solo canzonette.