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Rossana Rossanda, tra le fondatrici del quotidiano il manifesto, non cessa di stupirci e ormai novantacinquenne continua a stimolarci, appassionarci, fare proposte. Domenica sull’Espresso è stato pubblicato un suo intervento, un “Manifesto per un nuovo femminismo”.
Un testo veloce, leggero, ma pregnante che pone al centro varie questioni a partire “ dalle sfide della maternità in una società che resta maschilista”. Rossanda, marxista doc, torna in campo su un terreno che lei stessa definisce controverso, da quando era direttrice del quotidiano: «... in quella veste non ho goduto sempre della simpatia del movimento delle donne, che mi ha definito sovente “figura di potere”, invitandomi a mettermi in gioco cosa che, a dire il vero, credevo di aver fatto, ma - si vede non abbastanza...».
Ma il risultato è che, pur con qualche difficoltà in quanto prima di tutto marxista, anche Rossanda si definisce femminista ( «credo di esserlo» ) anche perché «non c’è battaglia delle donne che io non condivida, talvolta con qualche riserva. Non ne ho per esempio nei confronti del testo fatto circolare da “Non una di meno” per convocare uno sciopero generale l’ 8 marzo scorso».
In questa “distanza” e in questa “vicinanza” c’è tutta la grandezza di Rossanda. Almeno per me. Quando negli anni Novanta in Italia era egemone il “pensiero della differenza sessuale”, fu una sua intervista a confermarmi l’esistenza di nuovi orizzonti: la giornalista del manifesto non era d’accordo con la “differenza” e insisteva non tanto e solo sull’uguaglianza, ma sull’intreccio di conflitto di classe e conflitto di genere, intreccio che negli Usa - ben prima di noi - comprendeva anche la questione dell’antirazzismo come elemento fondante.
Nella sua posizione, che oggi sta tornando alla ribalta anche a livello internazionale, c’era e c’è la lezione del femminismo degli anni Settanta: l’inconscio e Freud, i ruoli, la critica alla visione binaria della sessualità, la messa in discussione del patriarcato come patto stretto anche con le donne. Siamo nel cuore dell’amicizia e il confronto con Lea Melandri che prosegue tutt’ora, la collaborazione con la rivista Lapis, gli scritti oggi raccolti nel libro Questo corpo che mi abita ( edito da Bollati Boringhieri).
Temi ripresi nell’intervento pubblicato dall’Espresso che presenta due piani, entrambi importantissimi. Il piano più prettamente teorico e quello più prettamente politico. Il piano teorico, anche se in poche righe, fa chiarezza su cosa si intenda per società maschilista.
Non vuol dire che il maschio è cattivo per natura, che i maschi sono “tutti mafiosi”, che sono tutti carnefici, come purtroppo leggiamo sempre più spesso in una banalizzazione dell’analisi e dell’azione politica.
No, non è così. La cultura maschilista - chiarisce Rossanda - va intesa «nella sua accezione di “senso comune” di derivazione greca, romana e giudaica, ma si dovrebbe dire anche egizia o cretese, culture che hanno in comune la visione binaria della sessualità, sulla quale si innesta, il principio della famiglia patriarcale come “società naturale”, basata sulla divisione gerarchica tra maschio e femmina».
E sul patriarcato, la sua complessità, il suo radicamento nella società aggiunge: «Il potere mi sembra sempre la tentazione più pericolosa: in verità anche quello che definiamo potere patriarcale si fonda su un patto con le donne, che nella famiglia si accontentano di un sottopotere cui però tengono moltissimo, e che non rinunciano allo stesso modo ad esercitare».
Il link con gli anni 70 ci proietta nel futuro, con una capacità di indagare “il profondo” che va ritrovata, sfuggendo ad alcune “campagne” del presente spesso fondate sulla semplificazione.
La realtà è sempre più intricata, ma quanto più è complessa tanto più vale la pena provare a governarla. È il caso delle questioni legate alla maternità e alla sessualità, cuore dell’intervento di Rossanda. Dei diversi punti, mi preme mettere in risalto quello sulla gestazione per altri, volgarmente detta “utero in affitto”. In poche righe, “il manifesto per un nuovo femminismo” pone le basi per una discussione seria. Scrive Rossanda: «Impedirla significa mettere un limite alla libertà della donna o dell’uomo che la vorrebbe, consentirla però comporta un pericolo permanente di mercificazione».
La prima preoccupazione è reale, se anche una parte del femminismo invoca divieti e lancia anatemi nei confronti di chi accede alla gestazione per altri; la seconda preoccupazione si può superare con una buona legge come è accaduto per esempio in Canada.
L’importante, al di là della singola questione e delle diverse posizioni, è che il femminismo - nato per costruire nuove soggettività fuori dalla maglie del patriarcato - faccia suo il suggerimento della fondatrice del manifesto, non rinunciando né alla complessità né alla libertà.