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Certo, Luigi Pirandello non ha subìto la stessa sorte di Giorgio Caproni, il poeta perlopiù ignorato e poi scelto come traccia d’esame d’italiano alla maturità tra l’incredulità degli studenti. Ma forse, per quanto studiato e noto, Pirandello non è abbastanza ricordato per quello che ancora è: un grande scrittore della modernità.
Nato a Girgenti ( l’attuale Agrigento) il 28 giugno del 1867 il drammaturgo e romanziere è forse uno degli autori che meglio riescono a illuminare il tempo presente, riportandolo a una complessità e ricchezza che il web sembra voler ogni volta contrastare imponendo la logica dell’apparire, del tutto è subito, della ( post) verità che non è più la verità.
Pirandello, messo sotto accusa nel dopoguerra per aver aderito al fascismo, in realtà è quanto di più lontano possa esistere dalla prosopopea del regime: insinua il dubbio, smonta le certezze, racconta un “io” frammentato e in preda a quella inquietudine che fa nascere, nella stessa temperie culturale, la psicoanalisi di Freud.
Il primo romanzo, Il fu Mattia Pascal, racchiude in sé tutta la poetica pirandelliana, poi affinata con le 40 opere teatrali: il protagonista vive tre vite, ma alla fine viene inchiodato a un destino che subisce come imposizione. Si rende conto che il suo sentire è qualcosa che va al di là delle apparenze e delle convenzioni, ma alla fine resta schiacciato da quella “verità” sociale che non corrisponde alla sua personale verità. L’identità in movimento, il contrasto tra ciò che appare e ciò che si nasconde dietro l’apparire sono alla base della teoria dell’Umorismo: il comico per Pirandello è ciò che suscita una risata immediata; l’umorismo è la reazione provocata dal dolore che si nasconde dietro il comico.
E’ il suo classico esempio della donna anziana imbellettata: se la si guarda di sfuggita è comica; se la si guarda bene si percepisce tutto il suo dolore, la sua personale tragedia. Pirandello riprende il tema della frammentazione dell’io in un altro grande romanzo Uno, nessuno e centomila. Ma è soprattutto nella sua opera teatrale che i temi a lui cari trovano un terreno privilegiato: una poetica fondata sul divenire dell’essere umano, sulla sua complessità ha nei corpi che vanno in scena la materia espressiva più consona.
Nascono titoli come Così è ( se vi pare) , Liolà, Il berretto a sonagli, Il giuoco delle parti. Ed è dal corpo sofferente della moglie che lo scrittore siciliano trae dolore e insieme linfa vitale per la sua produzione letteraria: la moglie soffriva di gravi disturbi psichici e per circa 40 anni resta in una casa di cura dove muore.
Il relativismo di Pirandello, che nel 1934 vince il Premio Nobel, non ha niente a che vedere con quello odierno, dove ciò che non è vero diventa verità. Non ha niente a che fare con le postverità, con le fake news che assurgono a dati di fatto. Pirandello, da grande intellettuale e letterato quale era, fa il processo contrario: ci introduce al dubbio, all’incertezza, ci costringe a guardarci dentro. Ciò che appare, anche se sembrerebbe avere tutti i connotati necessari per essere oggettivo, non è altro che il riflesso di qualcosa di più profondo, soggettivo e complesso.
L’esatto opposto delle fake news, in cui un fatto inventanto diventa invece certo, oggettivo. Pirandello è l’esaltazione dell’inquietudine contro le certezze, la sofferenza contro la facile illusione di un’esistenza che si riduce a un post su facebook o a un tweet. È un monito sull’essere umano che attinge dalla bellezza delle opere d’arte: ogni singola persona va osservata oltre la maschera che indossa. Pirandello chiude la carriera e la vita con le opere metateatrali: sono opere dove i personaggi mettono in scena il loro doppio, il teatro nel teatro. Siamo alla vita come rappresentazione e alla rappresentazione che mette in scena se stessa.
Esattamente quello che nel mondo globalizzato esperiamo ogni giorno.