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Caro Direttore,
Domani inizia il campionato di Serie A. Provo l’irresistibile bisogno di parlare con quelli che partecipano della mia puerile, disgraziata follia: tifare per una squadra che, si sa fin dalla prima di campionato, non vincerà lo scudetto e con grande probabilità nemmeno uno degli altri trofei per cui gareggia. Una squadra che si avvia a festeggiare cento anni di storia nei quali ha racimolato tre sole vittorie, di cui una durante la guerra. La squadra che porta i colori della nostra città: la Roma.
In crisi di astinenza da calcio giocato, ho febbrilmente seguito le notizie di mercato, entusiasmandomi per l’arrivo di un centravanti ucraino dal nome difficilmente pronunciabile di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza prima del suo sbarco a Roma. Ma sono io l’ignorante. Mi dicono che l’anno scorso è stato il pichichi di Spagna. Non si preoccupi, non è una cosa grave. Il pichichi è il capocannoniere della Liga. Ho studiato, si dice così perché è il nomignolo di un certo Rafael Moreno Aranzadi, che quasi un secolo fa faceva carrettate di gol in Spagna. Quindi questo ucraino dovrebbe essere forte oppure, nella nostra migliore tradizione, ha avuto solo un’irripetibile annata fortunata. Lo scopriremo solo vivendo, come cantava un genio che, però, pare tifasse per l’altra squadra della capitale (valli a capire gli artisti).
Vinto l’impulso di andarlo ad accogliere a Fiumicino, fortunatamente gli impegni di lavoro preservano quel minimo di dignità che ogni essere umano dovrebbe mantenere, sono pronto all’esordio cagliaritano della Magica. Superato ormai definitivamente il lutto per Mourinho – che (come fai a non amarlo) ha scritto una lettera aperta ai suoi nuovi tifosi turchi spergiurando che “i vostri sogni sono i miei sogni” – ora siamo tutti schierati con un ragazzo che abbiamo visto crescere dalle giovanili fino a fare prima il capitano e ora l’allenatore della prima squadra. Perché non succede, ma se succede che vinciamo qualcosa con DDR in panchina, mi sa che Antonello deve scrivere un’altra canzone.
Ma la ragione per cui le scrivo, in questi caldissimi giorni di agosto, ha solo incidentalmente a che fare con la Roma. Perché quando parliamo di calcio in questa città, non parliamo mai solo di calcio.
Cos’è che ogni anno ci fa attendere l’inizio del campionato per cantare l’inno più bello del mondo pur nella certezza che altri (con inni più brutti di certi cori di chiesa) sono destinati a vincere? Perché abbiamo scelto la squadra della nostra città e non una strisciata che mediamente vince uno scudetto ogni tre anni? In altre parole, sempre lo stesso, irrisolvibile dilemma esistenziale: “dimmi cos’è...”.
Non sia troppo affrettato. La prima risposta che le sta venendo in mente non è quella giusta. Provi per un attimo a ripensare a quando è stato “contagiato” dalla malattia del tifo e, poi, alle parole di uno scrittore romanista: «Tutto il tempo precedente al giorno in cui si comincia ad amare, dunque, non si può calcolare come vita vera. Piuttosto l’attesa di qualcosa, un’attesa inconsapevole, visto che non sai cosa stai aspettando e non ti rendi nemmeno conto di essere lì ad aspettarlo». Da ragazzino, quando nemmeno ti chiedi come sarà la tua vita futura, scegli dei colori che ti accompagneranno per il resto della tua esistenza. Una passione insensata, ma che scoprirai incredibilmente duratura.
Ecco perché stiamo qui ad attendere che ricominci un circo che sappiamo essere ingiusto e, a volte, anche truccato. In cui non si parte tutti alla pari e, infatti, generalmente vince il più ricco e/o il più potente. Proprio come sperimentiamo nella vita di tutti i giorni.
Ma cosa sarebbe la vita senza passione? E una passione ragionevole, non è un ossimoro: semplicemente non esiste. La verità è che, ce lo siamo già detto, per sopravvivere alla vita adulta, devi aggrapparti ad un lembo della tua fanciullezza, a quella passione insensata che hai pure il rimorso di aver trasmesso ai tuoi figli. Allora buon campionato a tutti, persino ai tifosi dell’altra squadra della capitale che quanto a insensatezza possono darci ancora un bel po’ di lezioni.
Con i più cordiali saluti,
Andrea Armati