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Una frase ricorrente di Gianluigi Bonelli è: «L'eroe non è mai in difficoltà». In seguito, da grande, il personaggio si rifarà con gli interessi di tutto ciò che gli combina il suo autore in questi primi albi. Diventerà così sicuro di sé, così forte, così granitico da sfiorare l'invincibilità. E guadagnarsi l'invidiabile primato di fumetto italiano più longevo.
Dato inoppugnabile, in quanto Tex Willer, il personaggio di cui parla Sergio Bonelli incalzato da Franco Busatta nella lunga intervista raccolta nel libro Come Tex non c'è nessuno ( Mondadori) ha appena superato i settant'anni di vita editoriale, da quando il 30 settembre 1948 il primo albo a striscia a lui dedicato debutta nelle edicole. Dopo Milano, anche Roma celebra il Ranger più amato dagli italiani con la mostra Tex. 70 anni di un mito, curata dallo storico e studioso del fumetto Gianni Bono in collaborazione con la redazione della Sergio Bonelli Editore, COMICON e ARF! Festival, fino al 14 luglio visitabile presso i locali del Mattatoio di Testaccio.
La rassegna propone tavole originali di maestri quali – per citarne solo alcuni – Galep, Claudio Villa, Giovanni Ticci, Fabio Civitelli, Guglielmo Letteri e Ivo Milazzo, fotografie, installazioni a tema e materiali rari, fra cui l'Universal 200, la celebre macchina da scrivere di Gianluigi Bonelli. Intuizione vincente della rassegna è inoltre quella di intrecciare, attraverso le prime pagine dei giornali dell'epoca, l'epopea del pistolero agli avvenimenti principali della storia italiana, evidenziando così come le sue avventure intercettino quella sete di giustizia e libertà che innegabilmente veicolava i sogni degli italiani.
Quando, creato dalla fantasia di Gianluigi Bonelli – che viveva con il character un rapporto di autentica identificazione, al punto da ammettere «Tex e io siamo praticamente la stessa cosa... le avventure di Tex le vivo io» – e dall'inconfondibile tratto di Aurelio Galeppini – in arte Galep –, che ne realizzò graficamente le fattezze esemplandone i lineamenti dall'attore americano Gary Cooper, esordì nelle edicole il primo numero di Aquila della Notte – così come viene nominato presso il popolo indiano dei Navajos –, oltre 29 milioni di italiani venivano chiamati alle urne in difesa del diritto al voto e alla libertà da poco riconquistata.
Si trovò quindi a rappresentare la quintessenza del giustiziere, perfettamente calato in quelle ambientazioni western che catturavano l'Italia del dopoguerra, come rimarcato da Sergio Bonelli: «Reduci da un bagno di traumatiche realtà e circondati dalle testimonianze ancora vive di un conflitto spietato, gli italiani hanno probabilmente bisogno di tuffarsi in vicende fiabesche, in imprese sì violente, ma risolte da eroi nobili e fieri. Avventure ambientate in uno scenario tanto spettacolare e insolito da sembrare un sogno. A nessuno sembra vero, in un paese che ha vissuto un'autentica guerra civile e dove non si sapeva bene con chi stare, di poter finalmente distinguere nettamente tra buoni e cattivi». Un'esigenza all'epoca profondamente radicata, quasi una sublimazione del recente passato.
L'ascesa del Ranger nel cuore dei lettori si ammanta di iperboli e di un linguaggio caratteristico, spesso diretto e inclemente. Leggiamo nel documentato volume di Claudio Paglieri, Non son degno di Tex ( Marsilio), che «a tutt'oggi, tra alti e bassi, Tex ha spedito “a spalar carbone nelle caldaie di Satanasso” qualcosa come 2783 avversari».
E ancora: «Tex è stato colpito, in effetti, 78 volte. Di queste, ben 23 sono le famigerate ferite “di striscio alla testa”, con un certo equilibrio fra tempia destra e tempia sinistra ( pare che il nostro eroe risparmi moltissimo di barbiere)». Una carriera a dir poco rispettabile, che pur non visse all'ombra degli strali della politica – nel 1951 due deputati, Federici e Migliori, presentavano un progetto di legge, che non passò, in cui si proponeva un control- lo preventivo sulla stampa a fumetti – e della censura, che preoccupò a tal punto Bonelli da spingerlo a istituire una propria commissione di autocensura, la MG, Garanzia Morale. «La faccenda – ricordava l'editore – si concretizza in bizzarre riunioni dove ci occupiamo di ricoprire cosce e scollature femminili. Dove i pugnali vengono sostituiti da nodosi randelli e le pistole scompaiono come per magia, dalle mani dei personaggi. Lasciandoli però in posizioni di sparo buffe e inspiegabili». Oggi alla censura conclamata è subentrato il più sottile e talvolta subdolo politically correct, ma questa è un'altra storia. La storia ripercorsa dalla mostra, invece, parte da lontano, dalle stanze di una redazione i cui ambiti lavorativi e familiari si confondevano e sostentavano a vicenda. «La Casa Editrice – raccontò Bonelli nel 1998 – è formata da mia madre, da una segretaria ( Antonia) e da me che faccio il fattorino. Gli ambienti di casa sono diventati la redazione, una cantina è il magazzino dove trovano posto le copie invendute. Abitiamo in via Saffi in un vecchio, grande appartamento, con un unico vasto salone adibito a redazione. Aurelio vive e lavora in una stanza- studio di fianco a quella in cui dormo io. Quando all'una di notte, dopo aver letto a lungo, spengo la lampada sul comodino, la luce della stanza di Galep filtra ancora attraverso la porta. Non so dire fino a che ora rimane al lavoro. Ma quando mi alzo per andare a scuola, eccolo di nuovo seduto al suo tavolo a mostrarmi un mucchietto di striscie ricche di immagini dinamiche e affascinanti: è nato Tex Willer».