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Novembre 2024. Sera. L’enorme ventola di un tunnel. A lato, la scritta rossa ACAB. La Celere attende di affrontare le proteste in Val di Susa. Lo scontro cambierà per sempre le vite di tanti. Durissimi scontri. I lacrimogeni impregnano l’aria gelida. Nel 2009 il romanzo di Carlo Bonini, tre anni più tardi il film di Stefano Sollima, nella Trilogia del Crimine con Suburra e Adagio.
Oggi, le sei puntate su Netflix di A.C.A.B. - La serie, dirette da Michele Alhaique, con Sollima produttore esecutivo, consentono un racconto a più alto impatto di una realtà sempre più complessa, anche grazie alla scabra colonna sonora dei Mokadelic e a immagini e ambienti lividi, iperrealistici. In scena, il cinico Ivano “Mazinga” Valenti, con le parole spezzate di Marco Giallini contro l’etico l’ispettore Michele Nobili, nello sguardo di Adriano Giannini. Entrambi perderanno ogni riferimento in reciproche solitudini, poi rifrante nelle vite dei colleghi di reparto tra caserma, dotazioni, ordini: la risoluta Marta Sarri di Valentina Bellè, l’introverso Salvatore Lovato di Pierluigi Gigante, l’eretico Pietro Fura di Fabrizio Nardi. Prevarrà la squadra, in un’appartenenza simile all’annullamento.
Alhaique potenzia una sceneggiatura già forte, usando al meglio cast e azioni, sferzando il verticale di puntata al fuoco di sentimenti in continua missione. La drammaturgia è moderna, densa, realistica e rende visivamente rituali, segreti, sconfitte di reparto, svelando volti e storie di operatrici e operatori di polizia in servizio antisommossa, non più anonimizzati da caschi, dashcam, scudi e sfollagente. Riferimenti a numeri identificativi, o ad abusi e torture, tra colpe dichiarate o insabbiate, dicono dell’inadeguatezza normativa italiana; presente un sottotesto che traccia l’immaginario di categoria tra chi manifesta e chi gestisce l’ordine pubblico: la Celere attira odio costante, in forma di scritte sui muri, articoli, saggi, fotografie, slogan di piazza, fin dal massacro di inermi contadini calabresi a Melissa da parte della polizia di Scelba nell’ottobre 1949.
Negli anni, le sue azioni sono state spesso al centro di polemiche, disegni di riforma, indagini, inchieste. Stroncare ogni protesta con la forza è una resa o un errore, certo, ma risalendo la catena di comando si arriva sempre a Palazzo, quando non a quella stessa società civile che chiede a gran voce di risolvere questioni complesse reprimendo il dissenso, salvo poi sconfessare metodi ed eccessi della polizia.
In A.C.A.B. - La Serie, la prospettiva del pubblico diviene per una volta quella scomoda del poliziotto, che vive su di sé la spaccatura ideologica tra polizia di strada e polizia di governo, nei limiti da porre all’uso della forza, con la certezza di essere, in fondo, sempre soli contro tutti gli altri, tanto da cantarsi addosso gli stessi inni di disprezzo rivolti alla Celere nei cortei.
Una continua tensione attraversa la serie, fino a un finale di stagione che lascia molti sconfitti. Il poliziotto di strada, corroso dal male di vivere inghiottito ogni giorno, si disorienta, ed è allora che ogni fragilità emerge nitida. In scenari diversi, di critica al potere, come di aperta guerriglia, le cariche e i colpi diventano l’unico tramite di legge, tra perimetri da tenere, blocchi da aprire, ripiegamenti. Sul terreno interessi opposti: diritti individuali contro ragione di Stato. Le alternative allo scontro restano teoria.
Quando poi la magistratura indaga, comprendere se tutto è stato fatto secondo procedura conduce a una palude di contraddizioni. A.C.A.B - La Serie sospende il giudizio, puntando a raccontare le vite al limite di operatrici e operatori, dannati dall’adrenalina di un mestiere che rischia di farne meri esecutori di ordini, condizionati da un dibattito parlamentare, che talvolta strumentalizza lo scontro sociale, salvo poi appellarsi alla forza per la questione degli alloggi, per quanti si oppongono a infrastrutture o discariche, o nella gestione dell’immigrazione.
Spetterebbe a legislatori e governi abbattere le criticità per costruire la pace sociale, piuttosto che richiedere la forza quando è tutto già radicalizzato; invece, nella democrazia allo sbando ritratta con crudezza da A.C.A.B., si sente che ognuno vive piegato dalla paura di un domani di odio, in luoghi di crisi sociale dove spesso saltano i confini dell’etica lasciando null’altro sul campo se non sconfitti. Agenti e manifestanti, ieri e ancor più oggi, sono spinti da disperazioni e solitudini uguali ed opposte, rischiando la vita in disordini dai quali i veri responsabili tengono ben lontani i loro nomi e volti.