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Di lei Alberto Sordi diceva: «Monica ha un’intelligenza professionale che sento affine. È l’attrice ideale per lavorare in coppia. Anzi, direi che è la più brava del mondo: riuscire ad affermarsi in Italia nel genere comico, che è patrimonio maschile, è impresa rara».
Trasversale, capace di confrontarsi con il registro comico come con quello drammatico sempre nel solco di una sensibilità personale e feconda, Monica Vitti ha segnato indelebilmente il cinema italiano imponendosi nell’immaginario di più generazioni. Fino al 10 giugno, il Teatro dei Dioscuri al Quirinale le dedica la mostra fotografica e multimediale La Dolce Vitti, realizzata dall’Istituto Luce Cinecittà per la cura di Nevio De Pascalis, Marco Dionisi e Stefano Stefanutto Rosa. Nucleo centrale della rassegna le oltre settanta foto provenienti da importanti archivi pubblici – fra cui l’Archivio storico dell’Istituto Luce –, compendiate dal racconto che la grande interprete, con la sua voce “sgranata e roca”, fa di sé – tra ricordi, riflessioni e brani dei suoi libri – e le testimonianze di coloro che a vario titolo la conobbero e apprezzarono.
Il percorso espositivo coniuga, secondo un trac- ciato cronologico, le varie tappe della carriera artistica della Vitti con i diversi ambiti tematici ed espressivi della sua evoluzione – dal Doppiaggio al Teatro, dal Cinema alla Televisione –, emblema, nella sua vibrante rappresentatività, del mutamento di un’epoca. Si parte dagli anni dell’apprendistato e del teatro. «Dopo l’accademia, – racconta – ho fatto subito teatro classico, comico, borghese e ho scoperto così il più bel gioco del mondo. Avevo capito che recitare era l’unico modo per prolungare l’infanzia» .
La giovane Maria Luisa Ceciarelli viene quindi scoperta da un maestro della caratura di Sergio Tofano, che le suggerisce di cambiare nome: nasce così Monica Vitti. Dal doppiaggio del personaggio di Virginia, interpretato da Dorian Gray ne Il grido di Michelangelo Antonioni ( 1957), scaturisce un sodalizio umano e sentimentale con il regista da cui deriva, fra il ‘ 60 e il ‘ 64, una serie di pellicole memorabili: L’avventura, La notte, L’eclisse, Il deserto rosso.
«Durante il periodo dei miei quattro film con Michelangelo, – confessa l’attrice – ho trovato molto più di un regista. Per me è stato tutto: un padre, un fratello, un amico».
Dal 1968, diretta da Mario Monicelli in La ragazza con la pistola – in cui interpreta una giovane siciliana che insegue senza posa, intenta a vendicarsi, l’uomo che l’ha “disonorata” – si impone una nuova tappa della parabola dell’interprete, esemplata sugli stilemi del cinema comico. Di qui una sequela di titoli che la vede in tandem con mostri sacri del cinema quali Sordi, Gassman, Tognazzi, Mastroianni e Manfredi, per la regia di Monicelli, Scola, Loy, Risi, Fondato, Salce e Di Palma. «Ricordo – scandisce – un articolo uscito in Francia che diceva: in Italia ci sono cinque comici, quattro uomini e una donna. È stato il complimento più bello che ho mai ricevuto». Il genere comico le schiude i cancelli della popolarità presso il grande pubblico, mentre prestigiosi registi internazionali la scelgono per i loro lavori: Miklós Jancsó ( La pacifista, 1971), Luis Bunuel ( Il fantasma della libertà, 1974) e André Cayatte ( Ragione di Stato, 1978).
Ulteriore trasformazione vede la Vitti co- sceneggiatrice, autrice e regista: sono gli anni di Teresa la ladra ( 1973) – diretto da Carlo Di Palma e tratto dal romanzo di Dacia Maraini Memorie di una ladra, pubblicato l’anno precedente –, Flirt ( 1983) e Francesca è mia ( 1986) – ambedue per la regia del compagno, fotografo e regista Roberto Russo –, fino a Scandalo segreto ( 1989) – che segna il suo debutto alla macchina da presa – e l’ultima interpretazione nel film tv Ma tu mi vuoi bene? ( 1992). Poi, dopo l’ultima apparizione in pubblico nel marzo del 2002 alla prima teatrale di Notre- Dame de Paris, il ritiro definitivo dalle scene, motivato dalle condizioni di salute: un’assenza che la strappa per sempre dalla contemporaneità per consegnarla alla storia del cinema e del costume.