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«Il prossimo anno ci sarà un nuovo progetto su Rosario Livatino, staremo un anno qui a partire dal prossimo mese di aprile»: il regista e attore pugliese Michele Placido, ad Agrigento per l'anteprima regionale di "Eterno visionario», il film sulla vita privata di Luigi Pirandello, ha annunciato che presto lavorerà alla realizzazione di una pellicola sul magistrato di Canicattì, il primo della storia della chiesa a diventare beato.
Placido ha anticipato che, con molta probabilità, entro il prossimo mese di dicembre si avvieranno i provini per il cast del nuovo film che recluterà attori e comparse del posto. «Io sono nato culturalmente pirandelliano, qui ad Agrigento c'è un amore speciale per me e io lo ricambio con tanto affetto perché è la zona della Sicilia che amo di più», ha aggiunto l'artista.
La storia di Rosario Livatino
Il giurista Vincenzo Musacchio, professore di diritto penale, aveva commentato la decisione di Papa Francesco di fare Beato il magistrato Livatino. «Mi colpì molto all’epoca l’estrema facilità con cui fu ucciso perché nonostante le inchieste scottanti che conduceva non gli fu mai concessa una scorta. Con gran dispiacere, devo anche riconoscere che nella memoria di molti italiani la figura di quest’uomo, brutalmente privato della vita a trentotto anni, non sia così presente come potremmo credere», aveva scritto sul Dubbio.
«Lo chiamarono “giudice ragazzino”, subito dopo la morte, non senza polemica. C’era chi all’epoca riteneva i magistrati più giovani inadeguati a ricoprire ruoli così delicati. Ragazzino non lo era affatto. Sul versante giudiziario, le indagini da lui condotte e i processi da lui trattati e in particolare quelli comportanti l’applicazione di misure di prevenzione contro pericolosi mafiosi, colpirono al cuore i loro interessi criminosi», si legge nel commento.
«Nelle sue indagini - affermava Musacchio - inquadrò la mafia nella sua versione imprenditoriale con tutte le relative conseguenze in tema di rapporti con la criminalità economica, finanziaria, politica e amministrativa. Era davvero una persona perbene, senza manie di protagonismo. Sosteneva che il magistrato oltre ad “essere”, dovesse anche “apparire”. Aveva una visione “sacrale” della sua professione che oggi per alcuni aspetti manca alla magistratura».