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Non è detta ancora l’ultima parola sul destino di Angela Merkel, unico leader europeo di caratura globale, in uscita dal ruolo di potere in cui è salda ininterrottamente dal 2003, e che ha appena mancato di saltare su ruoli europei di primissimo piano - presidente del Consiglio o della Commissione- come in molti preconizzavano.
Non è detta l’ultima parola in proposito, e non aiuta a sciogliere il mistero ( non secondario, per una figura politica che al momento per qualità e durata non ha pari sulla scena mondiale) nemmeno l’uscita dell’ultimo libro a lei dedicato, Angela Merkel- Regina d’Europa ( Passigli editore, pag. 224).
L’autore, Claudio Landi, che gli amatori di Radio Radicale conoscono bene per le sue cronache dal Parlamento e per gli interventi da studioso di Orienti estremi, si è guardato bene dal compilare una biografia. E forse il titolo tradisce, neanche fosse un lapsus, l’indentificazione della Kanzlerin con il vero soggetto del saggio: la Germania. Merkel, insomma, come pretesto e perno di un caleidoscopico saggio di geopolitica che tratteggia un tema non secondario: con la “regina d’Europa” la Germania è tornata sulla scena della politica internazionale come un attore di primissimo piano. Come il libro ben documenta, nelle relazioni con Russia, Cina, Stati Uniti anzitutto.
L’idea centrale, ed estremamente interessante, è esposta sin dalle prime pagine nelle quali Merkel, di cui si è a lungo decantata e criticata sui media l’attitudine avversa al carattere eroico e invece la perfino estenuante (“dorotea”, di fatto e di secondo nome) attitudine alla mediazione, dà di fatto corpo a strategie e intuizioni politiche che - molto semplicementenon sono le sue, o quantomeno non lo erano originariamente.
A cominciare dal discorso con il quale, nel lontano 1989, l’allora presidente della Deutsche Bank - un fautore dell’Unione Monetaria- progettava un’alternativa strategica alla tradizionale impostazione angloamericana di gestione delle crisi del debito, tali - come oggi sappiamo bene- da aggravare le crisi stesse. Alfred Herrhausen, sodale di Helmut Kohl, quel discorso non poté pronunciarlo perché morí in un attentato della Raf.
Ma Merkel di quel discorso seguí l’impostazione, si potrebbe obiettare forse con scarso successo dato che nella ben nota crisi greca vennero di fatto usate quelle metodologie che vanno sotto il nome di “Washington consensus”, già mandate nel dimenticatoio proprio dalle istituzioni multilaterali che le avevano create, per i disastri occorsi dalla loro applicazione in America Latina.
Allo stesso modo Landi legge il rapporto Merkel- Draghi ( sorvolando sul fatto che fu Giorgio Napolitano, in ben due viaggi appositamente ompiuti a Berlino, a persuadere Merkel che Mario Draghi era l’uomo giusto per la Bce: la Cancelliera, proprio per la sua attitudine alla mediazione, rischiava di cedere ai falchi che stavano respingendo “l’italiano”).
Nel lungo excursus il focus è appunto sui rapporti internazionali, perseguiti sulla linea bilaterale, che Merkel ha scientemente perseguito e che l’hanno resa un leader di caratura mondiale. Resta sullo sfondo il tema che la prossima dipartita di Merkel dal Cancelleriato lascia perfettamente squadernato: se la dottrina ordoliberista che, come Landi riconosce, è servita a forgiare l’Europa, sia ancora attuale.
E se lo sia in particolare per i tedeschi, che più ancora degli europei soffrono ( la Germania è in decrescita) l’abnorme surplus immolato negli anni quella dottrina rigorista. Ma certo, sarà l’attitudine al compromesso il difetto della leadership merkeliana, ma fosse stato per quelli come Schauble che propugnavano l’Europa a due velocità anche prima della nascita dell’euro, forse non staremmo nemmeno qui a parlarne.
Più che entrare in un secondo momento nell’Ue, all’Italia sarebbe stata sbarrata ( come si provò a fare) l’adesione all’euro. E chissà, forse proprio l’avventura geopolitica che questo libro racconta, il ritorno della Grande Germania nella politica estera, scrollandosi di dosso la pesante eredità del totalitarismo nazista che aveva sino a Merkel imbrigliato anche la partecipazione alle missioni internazionali, resta il vero unico grande lascito della Kanzlerin.