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Correva l'anno 1976, poco più quarant'anni fa, quando il film di Bernardo Bertolucci Ultimo Tango a Parigi venne condannato dalla Cassazione alla distruzione del negativo per oscenità, con addirittura l'aggiunta della perdita dei diritti civili, tra cui la possibilità di votare alle elezioni, per l'autore della pellicola. Eppure, a distanza di quattro decenni la Siae ha calcolato che è a oggi al secondo posto tra i film più visti di ogni tempo in Italia, con oltre 15 milioni e mezzo di spettatori. Il film era uscito poco più di tre anni prima di quella sentenza, il 15 dicembre '72, ma era rimasto in programmazione solo pochi giorni per finire subito sotto le forbici della censura e subire una serie di processi che portarono appunto alla sua "distruzione" totale. Per fortuna fu chi si premurò di salvarne il negativo (anche per merito della coproduzione francese) perché undici anni dopo, il 9 febbraio '87, il film veniva riabilitato con sentenza di «non oscenità» dal momento che nel frattempo era «mutato il comune senso del pudore».E l'Odissea di quel film conobbe anche altri episodi, tra cui uno, particolare, del 1973 che può farci riflettere sul bigottismo consociativo che ha per troppo tempo avvelenato il clima pubblico del paese e rallentato quella richiesta di libertà che saliva forte nel paese, soprattutto dopo gli anni Sessanta. Il 13 giugno del '73, infatti, scoppia addirittura un caso Pci-Urss per Ultimo tango. La rivista russa Sovetskaja Kultura approva e fa sua, in quella data, la sentenza di condanna del film da parte della magistratura italiana e deplora anche il fatto che alcuni giornali "borghesi" italiani abbiano difeso il film anziché chiederne una pena più grave. Il paradosso è che tra questi giornali c'erano anche testate come l'Unità, che era l'organo del Pci, e Paese Sera, da sempre vicino alla sinistra.La vicenda di quel film è insomma da manuale. Appena girato, Ultimo tango non ha noie insuperabili in fase di commissione di censura. Qualche lieve sforbiciatura e il nulla osta è ottenuto. Quanto basta però per mettere sull'avviso i magistrati in agguato. Il film comincia infatti la normale programmazione in sala e neanche una settimana dall'uscita lo sequestrano. Il regista, il produttore, lo sceneggiatore e gli interpreti saranno processati a Bologna. Si arriva però a una prima assoluzione e il film torna in circolazione con un successo strepitoso: oltre sette milioni di spettatori in pochissimi giorni. Allora il pm si appella e il film torna in tribunale. Altri giudici lo giudicano, sempre a Bologna. Prevale la tesi dell'esaltazione del sesso e della «distruzione dei valori morali». Che la critica internazionale, pressoché unanime, abbia elogiato il film di Bertolucci con Marlon Brando e Maria Schneider non importa ai giudici, i quali condannano stavolta solo gli autori e dispongono il sequestro delle pellicole. Gli imputati impugnano la sentenza in cassazione e i magistrati annulleranno la sentenza. Ma non finisce qui: il procedimento sarà riesaminato da una diversa sezione della corte d'appello di Bologna ma, intanto in attesa dell'ultimo processo, Ultimo tango a Parigi rimane sotto sequestro per un lunghissimo periodo, fino a quando con grandi ritardi verrà messo a disposizione delle sale.L'eroe di tutta la battaglia, il difensore del film, fu comunque l'avvocato Gianni Massaro, il legale che riuscì a riportare nelle sale il film e a riabilitarlo. Eppure, a differenza dei censori, per lo più catto-comunisti, Massaro s'era formato nel Fuan, si definiva missino e sin dall'inizio della sua attività s'era scagliato sistematicamente contro la censura e la caccia alle streghe che - per dirla con le sue stesse parole - aveva «come fine ultimo e come sempre la libertà di pensiero, la cui repressione nasce con la delazione e si esaurisce nel rogo».Massaro, scomparso qualche anno fa, nel 1976 aveva dato alle stampe un libro con la casa editrice SugarCo del suo amico Massimo Pini in cui raccontava tutta la sua battaglia: L'occhio impuro. Cinema, censura e moralizzatori nell'Italia degli anni Settanta. Fu lui, insomma, l'avvocato "fascista", a difendere Bertolucci e Marlon Brando e a riportare nelle sale Ultimo tango. Cosa che fece anche per Il Decameron e I racconti di Canterbury del "comunista eretico" Pier Paolo Pasolini e per tanti altri film: Arancia meccanica, La grande abbuffata, Il portiere di notte, Emmanuelle, Il giustiziere della notte, Amici miei atto II, Il Pap'occhio, C'era una volta in America.Questi erano d'altronde i paradossi dell'Italia (vera) degli anni Settanta. Mentre i sovietici e molti comunisti nostrani erano di fatto allineati al bacchettonismo di molti democristiani e conservatori, Gianni Massaro, l'avvocato con la foto di Mussolini (e un'altra, più piccola, di Almirante) sulla scrivania era stato l'avvocato che aveva difeso per oltre trent'anni i massimi nomi della cultura cinematografica e letteraria, anche di sinistra, del suo tempo, da Pier Paolo Pasolini a Marco Ferreri, da Federico Fellini a Sergio Leone, da Louis Malle ad Andy Warhol, da Paul Morrisey ad Alain Robbe-Grillet, da Bob Fosse a Luigi Comencini, da Elio Petri ad Alberto Bevilacqua, da Alberto Moravia a Ken Russel, da Citto Maselli a Mike Nichols. E questo mentre il Msi faceva invece entrare nelle sue file e - nel 1979 - eleggeva alla Camera l'ex democristiano Agostino Greggi, l'uomo poitico che agli inizi della sua carriera politica, nel 1957, era stato l'avvocato di parte civile in una celebre causa intentata a Roma contro un manifesto in abiti succinti di Brigitte Bardot, protagonista del film distribuito in Italia col titolo Miss Spogliarello. Tra l'altro era stato proprio da questo episodio che aveva tratto ispirazione il celebre sceneggiatore Rodolfo Sonego per il personaggio di Alberto Sordi nel film Il moralista, film satirico del 1959 contro la censura e i censori. Insomma, la vera battaglia trasversale degli anni Settanta, quella per la modernizzazione dei costumi e per la libertà dell'espressione artistica fu trasversale e al di là della frattura destra/sinistra, al punto di spaccare tutte le famiglie politiche e culturali e individuare invece alleanze e sintonie inedite - e decisive - oltre le superficiali appartenenze di campo.