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Entrambi fumatori accaniti, entrambi alla ricerca di una tabaccheria aperta anche di domenica. Così si ritrovano alla stazione Termini di Roma. Avvolto in un impermeabile color crema, appoggiato a una colonna, il Direttore fuma meditabondo: guarda ma non vede, assorto com’è nei suoi pensieri. Il settimanale che ha guidato per anni facendolo diventare uno straordinario luogo di idee e confronto politico culturale, è morto. Di fatto fallita anche la creatura di cui è stato cuore, cervello e anima: il primo Partito Radicale; disastrosa la prova elettorale, alcuni approdano nel Psi, altri guardano al Pri, un pugno di ragazzi ' ostinati' tiene in vita il partito contro ogni apparente logica; e poi l’insanabile rottura con un amico e sodale di sempre: Ernesto Rossi. Ha insomma tante ragioni per essere oppresso dall’amarezza Mario Pannunzio, quando quella mattina lo incontra Marco Pannella. Fumano, il loro è un dialogo fatto più di silenzi e sguardi, che parole. Ma si intendono, anche se tante sono le differenze: di età, di carattere, sensibilità. Entrambi sono grandi borghesi, con il culto di Benedetto Croce: liberali nel senso più ampio e autentico del termine, si conoscono e frequentano da tempo: così diversi, così in sintonia. ' Ci siamo salutati, e non so perché', mi racconta Pannella, ' ho avuto il presentimento che non l’avrei più rivisto'.
In effetti qualche giorno dopo quel fortuito incontro Pannunzio muore, stroncato da una fibrosi polmonare. Ha appena 57 anni, è il 10 febbraio del 1968.
Preparo una biografia di Pannella, a sua insaputa; per questo lo interrogo, lo stuzzico, per carpirgli brandelli di vita. Gli chiedo quando frequentava il ' salotto' del Mondo, i radicali di allora. Per quel che riguarda Pannunzio e Pannella, c’è una data che fa da spartiacque: il 25 luglio 1943; quel giorno esce l’edizione straordinaria de Il Messaggero. Annuncia che Badoglio è il nuovo capo del governo. Durante la notte è avvenuto il colpo di Stato, Mussolini è stato defenestrato dal Gran Consiglio, il re ha ( ri) preso in mano la guida del Paese. Il giornale è un solo foglio: le foto del re e di Badoglio, i comunicati ufficiali, il secco avviso che Pio Perrone assume la direzione del quotidiano, il Bollettino di guerra – numero 1.156 – una appassionata cronaca della notte romana e delle manifestazioni al diffondersi della straordinaria notizia, e uno stringato editoriale: ' Forse una colonna e mezza, poche righe improvvisate a macchina, nella sede di Via del Tritone, da Pannunzio e Arrigo Benedetti, circondati dagli amici di sempre, Flaiano, Longanesi, Soldati. Sono quello che devono e non possono non essere: un appello alle “energie materiali e morali della Nazione” perché nell’ora “estremamente grave e perigliosa”, nel “momento della lotta, della disciplina e del lavoro”, si stringano attorno al re, a Badoglio, all’Esercito. Ma c’è in esse già il tono del liberale, discepolo di Benedetto Croce. “Riacquistiamo oggi – si legge – la libertà di parola (…) che comporta tutte le altre libertà costituzionali e costituisce un elemento indispensabile alla vita come l’aria e la luce…”. Sentiamo l’eco della “religione della libertà”.
In questo racconto c’è tutto il Pannunzio essenziale: quello che è, e sarà, a liberazione avvenuta: l’antifascista e l’anticomunista democratico, guida e ispiratore di quella pattuglia di ' pazzi malinconici' ( la definizione è di Gaetano Salvemini), cui l’Italia deve più di qualcosa.
Lucchese come l’amico e sodale Arrigo Benedetti, entrambi si formano alla scuola di Longanesi, in quell’Omnibus, mirabile esempio di gusto, raffinatezza, eleganza, rigore. Crociano, attratto da Tocqueville, una straripante ammirazione per Cavour, Pannunzio si aggira, con disinvoltura e autorevolezza nelle redazioni di periodici e giornali, frequenta il caffè Aragno e i set di Cinecittà. Coltiva il sogno, l’aspirazione di fare il regista.
La notte del 25 luglio 1943, quelle righe battute a macchina segnano la svolta. Assume la direzione di Risorgimento Liberale, la testata cavourriana che diventa organo del Partito Liberale. Poi, l’ 8 settembre e l’occupazione tedesca. Pannunzio viene arrestato, in carcere si salva dalle Fosse Ardeatine per un soffio. Il 4 giugno 1944 gli alleati arrivano a Roma. Pannunzio potrebbe tornare al suo amore, il cinema; oppure aspirare a giornali di sicuro successo. Resta a dirigere Risorgimento Liberale. Si dedica a tempo pieno alla politica, alla grande politica, quella delle “passioni”: il titolo che ha dato al suo saggio su Tocqueville.
In anni caratterizzati da forti contrasti ideologici, Pannunzio si adopera perché si archivi la stagione dei governi espressione del Comitato di Liberazione Nazionale, e non esita a denunciare il dramma delle foibe, dell’esodo giuliano- dalmata, dei prigionieri italiani in Russia, delle vittime del cosiddetto ' triangolo rosso'. Il suo antistalinismo procede di pari passo col suo antifascismo.
Il congresso Pli del novembre 1947 sancisce la vittoria dell’ala destra di Giovanni Malagodi. Pannunzio abbandona il partito; con altri dà vita al Partito Radicale, dirige Il Mondo: settimanale, dalla grafica modernissima e insieme di gusto antico, che coniuga linguaggio scritto e ' visivo', proverbiale la ' maniacale' cura e il ' taglio' delle fotografie. Una vera e propria ' rivoluzione' dell’uso delle immagini: il settimanale ne fa abbondante e sapiente uso, almeno quindicimila e di grande formato, quindici, venti ogni numero; attentamente studiate e ' tagliate' da Pannunzio, rigoroso nel suo eterno doppiopetto grigio, e il metro da sarto sulle spalle; con lui Flaiano e Mezio. Ricorda Giulia Massari: «Una delle caratteristiche del giornale è una perfetta rispondenza fra scrittura e fotografia». Giornalismo fotografico e giornalismo scritto su Il Mondo diventano un tutt’uno; e nasce così un genere fotografico che appunto viene definito «foto da Mondo ».
Annota lo storico Rosario Romeo: Il Mondo «apparve in un momento di grave crisi politica e intellettuale del nostro Paese, e divenne subito un segno di unione e di richiamo per gran parte dell’intelligenza libera italiana. Attorno a Pannunzio si riunì in breve un gruppo di intellettuali tra i più impegnati moralmente e politicamente che conosca la storia italiana». In breve tempo Il Mondo si impone come un qualcosa di imprescindibile nella cultura italiana del tempo: un modello di giornalismo che esercita anche una funzione morale, culturale e politica ' altra' rispetto a quelle delle due ' chiese', la cattolica e la comunista.
Chi fa parte di questo straordinario milieu politico- culturale? Si chiamano Arrigo Benedetti, Ennio Flaiano, Vitaliano Brancati, Vittorio de Capraris, Mino Maccari, Amerigo Bartoli, Giorgio Vigolo, Alessandro Bonsanti, Carlo Antoni, Giulia Massari, Panfilo Gentile, Mario Ferrara… e ancora: Ernesto Rossi, Niccolò Carandini, Leone Cattani, Chinchino Compagna, Gaetano Salvemini; e anche alcuni giovanissimi che poi ritroveremo: Pannella, Eugenio Scalfari, Angiolo Bandinelli, Giovannino Russo... i “giovani” dell’UGI e dell’Unuri, della ( Giovane) Sinistra Liberale.
Tutto il meglio di quegli anni approda e transita sul Mondo.
Pannunzio riceve e legge i giornali a letto, alle 9, al risveglio, dopo aver fatto le ore piccole in via Veneto o da Rosati, a piazza del Popolo; le sue giornate scandite da fittissimi colloqui con i leader e gli esponenti del mondo laico, dai La Malfa ai Saragat, fino a Salvemini che fa coabitare con Croce e don Sturzo, Altiero Spinelli, Luigi Einaudi.. oppure a ispirare i famosi ' taccuini', a correggere bozze, ideare titoli. Paziente e certosino lavoro di artigiano creatore.
Pannunzio, politico; Pannunzio, giornalista. ' Sopratutto' - ancora giunge in soccorso Pannella ' centro di un sistema elaborato con mirabile, discreta, paziente opera per creare raccordi, comprensioni, intese, superamento di storie particolari, fondendole, forgiandole nel calore di una visione, di una volontà politica ed ideale liberale, radicale'. Un ' sistema' lentamente, incessantemente, edificato, rafforzato, allargato, assorbendo e annettendo sistemi minori ma non minimi, è tale da condurre al suo centro una sempre maggiore e migliore quantità e qualità di raggi.
Salvemini, che di quel ' mondo' fa parte, ci ricorda che la storia va intesa come una sorta di ' arma' capace di generare coscienze critiche, a patto ovviamente di saperne ricavare il giusto senso che ne può venire: «La consapevolezza che nel venire a sapere che la propria realtà non è l’unica possibile, che si possa sperimentare quel salutare senso dell’irrequietezza con il quale tutto comincia». In quest’affermazione c’è molto del senso, della ' missione' che Pannunzio e i ' suoi' si sono dati con l’avventura del Mondo. Se è così, allora ben si comprende come siano stati italiani di un’Italia che neppure oggi c’è, ' stranieri' di un paese sognato e desiderato; di un paese che chissà se mai avremo la ventura di abitare. «Persone – rubo la definizione a Pannella – di altri tempi, speriamo futuri» .