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Declina il verbo “sapere” Walter Veltroni nella prima puntata della serie di documentari Gli occhi cambiano, da lui scritta e diretta, in onda su Rai1 in seconda serata. E da sapere c’è molto per rincorrere il materiale delle Teche Rai che attraversa i decenni dal secondo dopoguerra a oggi. Storia della televisione, storia del giornalismo, storia d’Italia offerta con un montaggio abile, che non lascia respiro allo spettatore consapevole degli snodi principali del secondo Novecento o a chi sia curioso abbastanza da approfondire i molti volti, i tanti racconti messi insie- me da uno dei maggiori conoscitori della nostra televisione. Perché la biografia di Veltroni non è solo politica - quella che va, in un affannoso siglarsi, dal PCI al PD, passando per il PDS e i DS - ma è anche e forse soprattutto microfoni, cineprese e rotative dei giornali ( dal 1992 al 1996 ha diretto l’Unità). Suo padre, Vittorio Veltroni è stato dirigente Rai e prima ancora radiocronista dell’EIAR ( Ente Italiano per le Audizioni radiofoniche). Questo ricco retroscena si porta in primo piano in questa serie che segue un buon numero di libri e un paio di documentari: Quando c’era Berlinguer e I bambini sanno.
La crescita del regista Veltroni è soprattutto nel ritmo intenso che ha impresso a questo amarcord dolceamaro.
Il film si apre con Ungaretti, «La guerra non libera mai l’uomo dalla guerra», e si chiude, in una sorta di composizione ad anello, con un altro grande saggio, Vittorio Foa, che parla di crisi della speranza, ma ricorda a tutti che «si può scegliere». Nel mezzo c’è tutto, o quasi tutto, quello che bisogna “sapere” – forse anche per proseguire meglio nella visione delle successive puntate, dedicate ad altri verbi: ridere, amare, cantare, tifare e immaginare.
I reportage sul rastrellamento degli ebrei a Roma, la ricostruzione, il muro di Berlino e poi il suo crollo, con una giovane Lilli Gruber a cavalcioni tra Germania Est e Ovest, il Vietnam, la corsa allo spazio, il caso Mattei, il Sessantotto e le sue rivoluzioni, il terrorismo nero e rosso, l’Irpinia, la mafia, tangentopoli: la grande storia insomma, intrecciata, a volte, con la microstoria delle persone comuni. Impressiona, per esempio, rivedere la Signora Cernecca, figlia di un istriano trucidato nel periodo delle foibe, andare in ospedale a incontrare uno degli assassini del padre, per chiedergli di raccontare gli ultimi minuti di vita dell’amato genitore.
Colpisce vedere Primo Levi parlare di Auschwitz e del rischio del negazionismo, tema molto caro a Veltroni che, come sindaco di Roma, ha sempre promosso i Viaggi nella Memoria, per aiutare i giovani delle scuole a non dimenticare le atrocità del passato. Fa ancora rabbrividire guardare l’Irpinia dall’alto, dopo il terremoto, mentre una voce racconta la storia di una festa di nozze finita nella tragedia. Mentre è una gioia vedere l’entusiasmo degli angeli del fango che salvarono Firenze, i suoi libri e la sua arte dopo la piena dell’Arno del 1966.
Sullo schermo si alternano grandi nomi della letteratura: Pasolini che loda il sottoproletariato e Mario Soldati che, in controcanto, si schiera con la lotta all’analfabetismo delle campagne. Scorrono anche immagini di giornalismo e metagiornalismo che hanno fatto scuola, come Enzo Biagi che intervista Indro Montanelli o Corrado Augias che dialoga con Giovanni Falcone. E proprio Falcone dice, rispondendo alla domanda provocatoria di una ragazza in studio: «Questo è il Paese felice in cui se ti mettono una bomba sotto casa e non esplode è colpa tua».
Nella rincorsa degli occhi che si sono succeduti, lanciando il loro sguardo profondo sul mondo, si ricorda l’omicidio della giornalista del TG3 Ilaria Alpi, assassinata insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin a Mogadiscio, in Somalia, nel 1994, per le sue inchieste sul traffico d’armi e sui rifiuti tossici. Cambiano anche così, ci ricorda Veltroni: a volte vengono chiusi brutalmente ma sono irrinunciabili, questi occhi di chi racconta e di chi osserva, anche quando, come per molte delle tessere che compongono questo documentario, non ci è dato “sapere” la verità.