PHOTO
FILE - Peru's Nobel Literature Prize laureate Mario Vargas Llosa attends a ceremony where he was given an Honoris Causa degree by Lisbon Nova University, in Lisbon, Portugal, July 22, 2014. (AP Photo/Francisco Seco, File) Associated Press/LaPresse
Per Mario Vargas Llosa la letteratura aveva il potere di «abbellire la bruttezza», di trasfigurare l’angoscia e la miseria nell’incanto. Ma anche di «ordinare il caos», delle cose e dei pensieri, la forma più pura di resistenza alle paure, capace di trasformare il terrore in linguaggio, la morte in spettacolo. Come amava ripetere citando Paul Valéry: «Cosa saremmo senza ciò che non esiste?».
Nel racconto Las medias alas, contenuto nella raccolta Los cuadernos de don Rigoberto, lo scrittore peruviano affronta con un’ironia profonda la sua fobia per il volo e gli aeroplani, lui che per tutta la sua esistenza di romanziere e intellettuale globale ha affrontato migliaia di decolli e atterraggi. Escludendo alcool (era astemio) e psicofarmaci («un rimedio peggiore del male»), l’unico modo per sopportare quella paura estrema e primitiva («simile a quella dei ragni e del vuoto») non può che trovarsi nei romanzi.
«Ho compilato una lista di amici obbligatori che mi aiutano a vincere il panico: Bartleby di Herman Melville, The Turn of the Screw di Harry James, Armas secretas di Julio Cortazar, Dr Jekyil and Mister Hide di R. L. Stevenson, The Old Man and the Sea di Enest Hemingway, L’orso di William Faulkner e Orlando di Virgina Woolf. Per mia fortuna la farmacopea letteraria è così vasta che mi permette anni di voli e buone letture».
I libri sono «qual che di più bello ci può accadere», migliorano il mondo e ci proteggono dall’orrore, confinandolo e sublimandolo nell’esperienza letteraria. Una specie di rivelazione che ha incontrato giovanissimo, quando aveva appena cinque anni e lo ha accompagnato per il resto della vita, la stessa che lo ha spinto a diventare uno scrittore.
Nato il 28 marzo 1936 ad Arequipa, in Perù, Jorge Mario Pedro Vargas Llosa è figlio unico di Ernesto Vargas Maldonado e Dora Llosa Ureta. I suoi genitori si separano poco dopo la sua nascita. Trascorre l’infanzia tra il Perù e la Bolivia con la famiglia materna, convinto che il padre sia morto. Ma all’improvviso, quando ha dieci anni, l’uomo ricompare: i genitori decidono di tornare insieme. È un ritorno traumatico. Il ragazzo si trova di fronte a una figura autoritaria e dispotica che lo iscrive al collegio militare Leoncio Prado di Lima, nel tentativo di farlo “diventare uomo” e allontanarlo dalla passione per la poesia.
«Prima ancora dell’autoritarismo politico, conobbi quello paterno». Finito il collegio si iscrive all’Università di Lima in lettere e diritto. Nel frattempo scrive per qualche giornale locale e alla fine degli anni 50 va alla scoperta dell’Europa, prima a Madrid, dove completa una tesi su Rubén Darío, poi a Parigi, grazie a un concorso vinto tramite La Revue française. Assorbe con passione la cultura europea: Beckett, Ionesco, il Nouveau Roman, la Nouvelle Vague. È proprio tra Londra, Barcellona e Parigi che scopre davvero la letteratura latinoamericana. Diventa amico di Julio Cortázar, Carlos Fuentes e Gabriel García Márquez – “Gabo” – con cui finirà però per litigare in modo irreparabile.
Come molti scrittori latinoamericani della sua generazione, anche se forse è stato il più “europeo”, Vargas Llosa ha vissuto la letteratura anche come impegno civile. Dopo un primo avvicinamento al comunismo e un iniziale entusiasmo per la rivoluzione cubana, si distacca dall’estrema sinistra e negli anni 70 si avvicina progressivamente al liberalismo, dichiarandosi convinto che la libertà economica e quella politica siano inseparabili.
Nel 1990 entra in politica personalmente e si candida alla presidenza del Perù contro Alberto Fujimori. Viene sconfitto al secondo turno e ritorna nel Vecchio Continente, mentre per quasi un decennio Fujimori trasforma il Perù in una dittatura. Racconterà quell’esperienza in Il pesce nell’acqua (1993), decidendo poi di tornare a racconti e romanzi, sua vera e, in fondo unica vocazione. Nel 2010 la consacrazione con il premio nobel per la letteratura. A oltre 80 si cimenta nel ruolo di attore debuttando sul palco a Madrid con I racconti della peste, adattamento del Decameron. «Mai avuto così tanta paura, nemmeno durante la campagna elettorale».