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Agli inizi degli anni ’ 80 l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici trasferì la sua sede dalla sala della biblioteca di casa Marotta, dove era nato, nello splendido Palazzo Serra di Cassano a Monte di Dio. Marotta m’invitò a visitarlo ma poi insistette per andare in piazza Mercato, dove tragicamente si concluse quel primo “assalto al cielo” che fu la rivoluzione giacobina del 1799. Era un caldissimo giorno d’agosto e l’Avvocato, in una piazza semideserta, si lasciò andare a un’accalorata ricostruzione dello scempio consumato da una monarchia reazionaria, ormai distante dal governo illuminato di Carlo III di Borbone. Descrisse il furore dei lazzari e le impiccagioni; ricordò Mario Pagano e Domenico Cirillo, Eleonora Pimentel Fonseca e Gennaro Serra Di Cassano; imprecò contro Ferdinando IV che ne impedì la sepoltura nelle chiese e concluse la sua invettiva con un’affermazione che racchiude l’originalità del suo pensiero politico e filosofico: “Noi vogliamo vendicare i martiri del ’ 99. In che modo? Facendo rinascere lo Stato a Napoli, imponendo il rispetto delle leggi dello Stato, rigenerando lo spirito pubblico nel Mezzogiorno e in tutta l’Italia! Questa è una grande rivoluzione, una rivoluzione più difficile di quella che avrebbe dovuto abbattere lo Stato. A Napoli la cosa più difficile è far rivivere lo Stato e far rispettare la legge”.
Gerardo Marotta è l’ultimo erede di quella straordinaria e originale corrente di pensiero, l’hegelismo napoletano, che va da Spaventa a Labriola, da De Sanctis a Croce: una filosofia civile che s’invera in iniziative culturali controcorrente e in progetti politici coraggiosi. Marotta fonda, insieme al matematico Renato Caccioppoli - suo cognato i Circoli del Cinema e l’associazione studentesca Cultura nuova; crea il “Gruppo Gramsci”, un circolo d’intellettuali comunisti che interpreta la “questione meridionale” in chiave na- zionale in opposizione alle tesi salveminiane, fortemente prevalenti nel Partito Comunista negli anni ’ 50. Nel 1975 fonda l’Istituto per gli Studi Filosofici, che eredita centinaia di migliaia di volumi della sua biblioteca personale; contestualmente dà vita, con Antonio Iannello di Italia Nostra, alle “Assise di Palazzo Marigliano” per la difesa dell’ambiente e della legalità; infine organizza quattrocento scuole estive in piccoli centri del Mezzogiorno per la formazione dei giovani e della classe dirigente.
Gerardo Marotta ha assegnato alla filosofia una funzione fortemente pratica in cui la ricerca teorica si fonde indissolubilmente con il coraggio della verità e l’affermazione della giustizia. Tutto questo ha provocato, nel corso degli anni, quella che Alain Deneault chiama “la rivincita dei mediocri”: i finanziamenti già deliberati sono bloccati da oltre dieci anni e i locali destinati alla biblioteca sono ancora in mente dei, e le attività dell’Istituto sono andate avanti solo grazie all’eroica forza di volontà dell’Avvocato, una forza sostenuta solo dall’incoraggiamento e dall’amicizia delle menti migliori della fine del XX secolo, da Gadamer a Ricoeur, da Popper a Bobbio, da Prigogine a Chomsky. Marotta, negli ultimi anni, è stato segnato, anche nel fisico, dalla colpevole indolenza delle istituzioni. E, tuttavia, la storia lo risarcirà avverando la profezia di un suo fraterno amico: Jacques Derrida: “Un giorno gli si darà ragione e più che mai si capirà che, molto prima degli altri, ha visto lontano, in anticipo sui tempi. Anche noi, perciò, non dobbiamo frap- porre indugi. Marotta è l’ homme des Lumières, oggi come domani. Mi piace pensare all’Avvocato e mi accorgo che la mia ammirazione per quest’uomo fuori del comune non ha misura: è sorridente, affettuosa, ma soprattutto grande e singolare.
Il suo è un nome di risonanza mondiale, lui è un grande navigatore della cultura: questo è l’audace Gerardo Marotta, che nel fondo è un uomo timido, riservato, prudente ( il contrario dell’uomo mondano). Ho scoperto il suo fascino poco per volta, tutte le volte che tornavo in cima a quella collina napoletana, in quei luoghi di meditazione e discussione che meriterebbero d’esser rappresentati in un affresco o in un romanzo d’altri tempi”.