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L'amica geniale non è una serie tv neorealista fuori tempo massimo, anche se usa senza parsimonia il dialetto e nonostante le straordinarie attrici che interpretano le protagoniste bambine, Elisa del Genio Lenù e Ludovica Nasti Lila, siano prese dalla strada. Ma la location stilizzata e teatrale, quel quartiere ricostruito nel vuoto, una piazza circondata da case tutte uguali, smonta in partenza ogni velleità davvero neorealista.
«Oddio ma come è passato per la mente al regista Saverio Costanzo e alla sceneggiatrice, nonché autrice della trionfale romanzo originale diviso in quattro tomi, Elena Ferrante di mettere in scena para para la scena più famosa del cinema italiano, il capitombolo di Nannarella in Roma città aperta, alla fine della seconda puntata della serie tratta dal primo dei quattro volumi, L'amica geniale? » La domanda credo che se la siano fatta tutti quelli che martedì scorso hanno passato la teleserata di fronte all'esordio della serie prodotta dall'americana HBO e da un consorzio italiano ( Raifiction, Timvision, Wildside, Fandango). Tra parentesi sono stati parecchi, 7 milioni di spettatori, 30% di share, un trionfo con all'interno un margine di rischio, perché partendo da attese così alte il rischio di non bissare il successo clamoroso c'è.
Quella citazione così esagerata e sfrontata, tanto da sfiorare l'oltraggiosità ed esporsi al rischio del kitsch, non è un omaggio né uno strafalcione: è una confessione e una dichiarazione d'intenti.
L'amica geniale non è un tv movie neorealista fuori tempo massimo, anche se usa senza parsimonia il dialetto, tanto da dover ricorrere spesso ai sottotitoli, e nonostante le straordinarie attrici che interpretano le protagoniste bambine, Elisa del Genio Lenù e Ludovica Nasti Lila, siano prese dalla strada. Ma la location stilizzata e fortemente teatrale, quel quartiere ricostruito nel vuoto, una piazza circondata da case tutte uguali, smonta in partenza ogni velleità davvero neorealista.
Ma le radici del neorealismo affondavano nella realtà dell'Italia in cui crescono Lila e Lenù e il film racconta quell'Italia. La citazione ostentata non è un civettamento con il grande cinema di quegli anni ma un richiamo alla realtà cruda e violenta di cui quel cinema fu insieme un prodotto e un simbolo impostosi in tutto il mondo.
La tetralogia di Elena Ferrante, come ogni grande romanzo, può essere letta e interpretata in modi diversi a seconda della prospettiva dalla quale la si guarda. E' una cattedrale non un palazzo.
La storia di una amicizia femminile conflittuale e intensa come un amore ne è solo la facciata più vistosa.
Ma L'amica geniale è anche la storia di un Paese e della sua grande trasformazione nella seconda metà del secolo scorso, dei cambiamenti delle mentalità e delle relazioni ma anche delle permanenze e delle resistenze, dei traumi, dei fallimenti, delle delusioni.
Il microcosmo teatrale allestito dalla scrittrice e dalla regista mette in scena la realtà di quell'Italia e in particolare di quel sud, esaltando sullo schermo, sia pur con ritmi diversi e rallentati rispetto alla pagina scritta, la stessa componente che domina il libro: la violenza.
Non solo quella delle risse e delle mazzate, ma quella delle emozioni, dei rancori, dei rapporti tortuosi all'interno delle famiglie della Napoli più povera.
E' una scelta stilistica precisa quella di puntare sull'effetto di rarefazione invece che su quello della ricostruzione realistica, una cifra funzionale, almeno in queste prime due puntate alla narrazione della Storia filtrata dalle emozioni, dalla loro mutevolezza e dalle loro continuità. Un film sulla Storia fatto di sguardi.
Se c'è un elemento che giustifica la qualifica di romanzo femminista usualmente attribuita alla tetralogia è proprio la sfida consistente nel raccontare non una storia, non un'amicizia, ma la Storia ' a partire da sé', facendo della protagonista Lenù, del suo sguardo e della sua esperienza, ma anche del suo riflesso e del suo opposto Lila il fulcro di una narrazione che riguarda in realtà tutto un paese e tutta la generazione che di quella grande trasfor-mazione è stata protagonista e insieme vittima.
Pur dilatando i tempi, il film nelle sue prime due ore conserva l'anima del romanzo. La rispetta e la difende traducendola in un altro linguaggio.
Quel che la stilizzazione rarefatta non è riuscita sin qui a rendere, invece, è la coralità che invece nel romanzo fa da contraltare alla vicenda delle due amiche. Il quartiere è un mondo e il romanzo segue le vicissitudini e i cambiamenti di quel mondo anche quando non sarà più contenuto nei confini del quartiere. Per ora quell'effetto corale la serie non è riuscita a renderlo. Solo la maestra delle due amiche povere e molto dotate, interpretata da Dora Romano, emerge come vero personaggio.
Ma c’ è tempo perché dal violento rumore in cui si confondono tutti gli altri emergano come nel romanzo, personaggi reali.