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«L'arte contemporanea ha, a volte ingiustamente, la reputazione di essere difficile, mentre il mio lavoro non lo è affatto». Critico a un tempo corrosivo e ironico, Banksy riesce a coniugare un'irredenta vocazione alla protesta contro le più disparate storture prodotte dalla globalizzazione e dal consumismo imperante con un'indubbia abilità formale e un'iconica immediatezza.
Le oltre cento opere che costituiscono l'essenza della mostra «Banksy A Virtual Protest», visitabile fino all'11 aprile 2021 presso il Chiostro del Bramante di Roma, rappresentano alcuni dei momenti più significativi della sua produzione, contrassegnata da un ampio utilizzo della tecnica dello stencil e da tematiche quali la disuguaglianza economica e sociale, l'ecologia, il rifiuto della guerra e la denuncia delle prevaricazioni del potere.
Nato presumibilmente a Bristol all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, occupa un posto di preminenza all'interno della scena underground della capitale del Sud- ovest dell'Inghilterra, in quel fermento che ha convogliato artisti e musicisti – Banksy stesso ha partecipato a diversi progetti discografici concernenti la realizzazione di copertine di vinili e Cd – in direzione di un radicale antagonismo nei riguardi del sistema. Inserito nel 2019 da ArtReview al quattordicesimo posto nella classifica delle cento personalità più influenti al mondo, nessuno, ad esclusione degli amici e dei collaboratori più stretti, ne conosce la vera identità; anonimato che, scaturito da motivazioni di natura pragmatica – come la necessità di sfuggire alla polizia, dovuta alla realizzazione di graffiti illegali, o il bisogno di tutelarsi a fronte del contenuto satirico delle sue opere – si è ammantato nel tempo di ideologica convinzione: «Non ho il minimo interesse – dichiara – a rivelare la mia identità. Ci sono già abbastanza stronzi pieni di sé che cercano di schiaffarvi il loro brutto muso davanti».
La sua opera riverbera la potenza iconica dell'immagine messa al servizio del rovesciamento stilistico. Così il giovane manifestante cinese fermo davanti ai carri armati in Piazza Tienanmen, immortalato in un celebre scatto di Jeff Widener, viene munito di un cartello con la scritta “Golf Sale” (Golf Sale, 2003); la piccola vietnamita Kim Phuc, resa dal fotografo Nick Út emblema delle atrocità della guerra, si accompagna per mano ai simboli del consumismo americano Mickey Mouse e Ronald McDonald (Napalm, 2004); in una contestata rivisitazione dell'iconografia sacra della crocifissione, l'immagine di Cristo appare sorretta non da chiodi ma da buste della spesa (Christ With Shopping Bags, 2004); il Jack Russel Terrier che ascolta da un grammofono la voce del padrone, rappresentativo della catena di dischi inglese HMV, qui sorregge con aria minacciosa un bazooka (HMV, 2004).
Altra icona molto utilizzata, in chiave disturbante ed eversiva, per mettere in risalto il lato oscuro del potere è quella dello smiley giallo: la vediamo, ad esempio, al posto del volto dell'ufficiale di polizia britannico minuziosamente armato (Smiling Coop, 2003) come a sostituzione delle visiere protettive della trentina di poliziotti militari antisommossa allineati alle due ali di un carro armato (Have A Nice Day, 2003).
La satira di Banksy si indirizza con persistenza e senza fare sconti contro l'obsolescenza e la superficialità di cui la società capitalista e consumista è portatrice (in) sana e ubiqua: «Finché il capitalismo resterà in piedi, non potremo far nulla per cambiare il mondo. Nel frattempo dovremmo tutti andare a fare dello shopping per consolarci».
Non viene risparmiato neanche il mercato dell'arte. Nell'ottobre 2018, durante un'asta di Sotheby's a Londra, una versione di una sua famosa serigrafia, Girl With Balloon – apparsa per la prima volta sui muri di Londra nel 2002 – appena battuta per più di un milione di sterline, venne distrutta da un trita documenti nascosto dietro l'opera.
Morons (2005) invece, inclusa nella sua prima personale negli Stati Uniti del 2006, «Barely Legal», riprende uno dei momenti cardine della storia dell'arte, quando il 30 marzo 1987 il Vaso con quindici girasoli di Van Gogh venne venduto, in un'asta da Christie's, al prezzo record di ventidue milioni e mezzo di sterline; nell'opera di Banksy, una folla di collezionisti è assiepata intorno a un banditore alle cui spalle campeggia una tela in una cornice dorata che presenta la scritta: “I can't believe you morons actually buy this shit” (“non posso credere che voialtri imbecilli stiate davvero comprando questa merda”).
Caratteristica manifesta dell'attività di Banksy è quella di essere profondamente incardinata all'epoca in cui vive e delle sue ingiustizie e iniquità ne diventa interprete attiva e vitale. Turf War (2003) riprende il gesto di un anarchico partecipante a un corteo anticapitalista avvenuto nel 2000 nel centro di Londra, che strappò una zolla d'erba e la collocò sulla testa della statua di bronzo di Winston Churchill in Parliament Square (“sorprendente atto di vandalismo creativo”). Nola (2008) è uno dei quindici dipinti dedicati all'inondazione provocata dall'uragano Katrina che si abbatté sulla città di New Orleans il 30 agosto del 2005 devastando la città del jazz e provocando oltre 3mila vittime.
Una delle sue immagini più evocative, Love Is In The Air (Flower Thrower, 2003) venne riproposta in un grande murale su un edificio privato lungo la strada principale tra Gerusalemme e Betlemme, mentre nel 2017 a Betlemme, a cinque metri dal muro che divide Israele dai territori palestinesi, lo street artist aprì il suo famoso Hotel.
In tempi più recenti, Banksy ha acquistato una nave – ribattezzata Louis Michel in onore di una femminista francese – e finanziato l'attività di soccorso dei migranti nel Mediterraneo «perché le autorità europee ignorano le richieste di aiuto dei non europei». Segno che, se è vero che «un muro è un'arma molto grande», è altrettanto innegabile che certi muri, talvolta, siano soltanto ostacoli da dover abbattere.