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Kristallnacht, la Notte dei Cristalli: forse mai nella storia un evento tanto feroce e tanto atroce è stato ricordato con un nome così poetico.Nella notte tra il 9 e il 10 novembre circa 7500 negozi ebrei furono assaltati, distrutti, spesso rasi al suolo, 1400 sinagoghe e Yeshivot, case di studio e preghiera, vennero devastate e incendiate. Le strade delle città tedesche furono cosparse dai vetri dei negozi contro i quali si era scatenato il primo pogrom della Germania nazista: erano quelli i “cristalli”. Gli ebrei furono assaliti spesso anche nelle loro case, aggrediti e picchiati a morte per strada e nelle abitazioni: le vittime accertate furono 91 ma lo storico del nazismo Richard Evans, la cui trilogia sul Terzo Reich è per ora forse la più esaustiva storia della Germania nazista, ritiene che i morti siano stati molti di più: intorno ai 400.La polizia aveva l’ordine di intervenire solo per arrestare le vittime: nella notte e nel giorno seguente, mentre gli attacchi proseguivano e si moltiplicavano, furono presi e spediti nei lager 30mila maschi ebrei tra i 16 e i 60 anni. Anche ai vigili del fuoco era stato ordinato di non muoversi a meno che le fiamme non minacciassero anche edifici ariani. Le sinagoghe e le yeshivot bruciarono letteralmente sotto gli occhi di polizia e pompieri immobili. In compenso Reinhard Heydrich, potentissimo capo dell’SD, il servizio di sicurezza delle SS, si era premurato di mobilitare sia la Gestapo che la Kripo, la polizia criminale, per proteggere tedeschi non ebrei e turisti.Il costo delle vetrine destinate a fissare nella memoria quella tremenda notte fu altissimo e ricadeva spesso sui proprietari degli stabili, quasi tutti “ariani”: 40 milioni di marchi. Furono addebitati agli ebrei, ai quali vennero anche confiscati i risarcimenti delle assicurazioni. Non bastava a compensare i gravissimi danni che la furia del pogrom aveva inflitto all’economia tedesca. Nel vertice dei gerarchi nazisti che si riunì il 12 novembre fu Goering a trovare una parziale soluzione: un miliardo di marchi di multa a carico della comunità ebraica. «Così quei porci ci penseranno bene prima di commettere un secondo omicidio», commentò. Poi aggiunse: «Non vorrei essere un ebreo in Germania di questi tempi». L’omicidio a cui alludeva Hermann Goering era quello del funzionario presso l’ambasciata a Parigi Ernst vom Rath. A sparargli era stato un ebreo diciassettenne, Herschel Grynzspan. Era nato ad Hannover, in una famiglia di ebrei polacchi trasferitisi in Germania nel 1911, ed era arrivato a Parigi due anni prima per sfuggire a una vita quotidiana già flagellata dal razzismo antisemita. Lo aveva spinto a sparare la crisi dei profughi che si era aperta in ottobre tra Germania e Polonia. Il 29 ottobre erano stati espulsi circa 12mila ebrei polacchi residenti in Germania ma la Polonia aveva aperto i confini solo per quelli con i documenti in ordine. Ottomila persone erano rimaste per giorni nella terra di nessuno tra i due confini sbarrati, sotto una pioggia sferzante. Tra loro c’erano i genitori di Herschel, che il 7 novembre aveva deciso di compiere un gesto clamoroso per imporre il dramma degli apolidi ebrei all’attenzione di un mondo che voleva tenere assolutamente gli occhi chiusi. Aveva comprato una rivoltella, si era recato all’ambasciata, aveva chiesto di parlare con l’ambasciatore o con qualche alto funzionario per richiedere il visto per tornare in Germania. L’unico funzionario disponibile in quel momento era vom Rath. Appena entrato nel suo studio Herschel gli aveva sparato cinque colpi, uno dei quali fatale, arrendendosi poi senza opporre resistenza alla polizia francese. Negli ultimi anni uno storico ha avanzato l’ipotesi che tra l’attentatore e la sua vittima ci fosse una relazione omosessuale e che ad armare la mano dell’attentatore fosse stata la passione non la politica. Sporadici attacchi contro sinagoghe in Germania, in quei casi effettivamente spontanei, c’erano stati già il giorno dell’attentato, mentre vom Rath combatteva tra la vita e la morte. Il funzionario spirò il 9 novembre, la data più sacra per i nazional-socialisti, ricorrenza del fallito putsch hitleriano del 1923 a Monaco. Il fuhrer si trovava effettivamente a Monaco per il tradizionale raduno dei vecchi combattenti ma decise di rinunciare al discorso dopo aver saputo della morte del funzionario. Al suo posto parlò Goebbels ed esortò al pogrom: «Il fuhrer ha deciso che non ci saranno manifestazioni organizzate dal partito. Ma se dovessero verificarsi spontaneamente non saranno ostacolate».Contemporaneamente venivano diramati ordini ai Gauleiter per scatenare gli attacchi in tutta la Germania e nell’Austria annessa pochi mesi prima. La disposizione era di evitare le divise delle SA e agire in borghese, mettendo fine agli attacchi entro le 5 del mattino. Contemporaneamente lo Standartenfuhrer delle SS Heinrich Muller inviava un messaggio alle sedi della Gestapo avvertendo degli imminenti assalti e ordinando alla di collaborare con la polizia evitando però i saccheggi. A mezzanotte meno un minuto arrivò la prima telefonata ai vigili del fuoco di Monaco: la vetrina di un negozio ebreo era stata infranta ed era stato appiccato il fuoco alla merce. Appena tre minuti e una seconda telefonata diede un nuovo e più grave allarme, stavolta era in fiamme una sinagoga. Per gli ebrei si erano aperte le porte dell’inferno. Nelle ore seguenti attacchi, incendi, aggressioni, pestaggi, in alcuni casi stupri si verificarono ovunque ci fosse una comunità ebraica. A decidere il pogrom era stato in realtà il solo Goebbels, con il “permesso” del fuhrer. Gli altri gerarchi nazisti restarono spiazzati e furibondi. «Suppongo che la responsabilità di aver iniziato questa operazione in un momento particolarmente difficile sul fronte diplomatico sia della megalomania e della stupidità di Goebbels». Commentò gelido il Rechsfuhrer delle SS Himmler. «Ne ho abbastanza di queste manifestazioni che non danneggiano gli ebrei ma me, in quanto responsabile supremo della tenuta dell’economia», sbottò Goering. In effetti Saul Friedlander, massimo studioso della persecuzione degli ebrei nella Germania nazista, ritiene che a muovere Goebbels fosse la necessità di risollevare le proprie quotazioni agli occhi di Hitler, offuscate dall’irritazione del fuhrer per la sua relazione con l’attrice Lida Baarova. Ma questi sono in realtà particolari. La sterzata dalla discriminazione alla persecuzione che fu inaugurata dalla Kristallnacht era in realtà già scritta, comunque imminente. I primi anni del regime nazional-socialista, dal 1933 al 1936, erano stati durissimi per gli ebrei. I nazisti erano partiti con il boicottaggio dei negozi ebrei già il primo aprile 1933, due mesi dopo essere arrivati al potere. Una settimana dopo era stato il turno della legge che proibiva agli ebrei di lavorare nell’amministrazione pubblica. Da quel momento aggressioni e discriminazioni erano state all’ordine del giorno, il numero dei paesi judenfrei, senza più ebrei, si era moltiplicato. Nel 1935 le leggi di Norimberga avevano privato della cittadinanza gli ebrei e proibito i matrimoni misti.L’obiettivo, allora, era solo spingere gli ebrei ad abbandonare la Germania e aveva avuto successo. Se ne erano andati circa 25mila ogni anno, fino a un quarto dell’intera popolazione ebraica. Ne restavano 300mila, senza contare i mischlinge, i cittadini di sangue misto. Nel 1936, in occasione delle Olimpiadi, però le manifestazioni antisemite erano state quasi messe al bando. Un’atleta ebrea era addirittura salita sul podio col saluto nazista. Anche a giochi olimpici chiusi il clima era rimasto relativamente sereno fino a tutto il 1937.La nuova ondata era iniziata con l’Anschluss, l’annessione dell’Austria. All’improvviso la Germania si era ritrovata con altri 191mila ebrei, problema che si sarebbe riproposto in forma macroscopica durante la guerra, in particolare con l’invasione della Polonia e poi dell’Urss. Il paese razzista che voleva essere judenfrei, contava d’occupazione in occupazione milioni di ebrei al proprio interno, e l’elemento ebbe il suo peso nell’ulteriore passaggio dalla persecuzione allo sterminio. Anche prima del grande pogrom il ‘38 era stato un anno terribile. Erano riprese le aggressioni per le strade, in giugno era stata incendiata la grande sinagoga di Monaco, in agosto quella di Norimberga. Il 17 agosto era stato cambiato il nome di tutti gli ebrei: doveva sempre essere preceduto da Israel per i maschi, Sara per le femmine. In settembre arrivò la proibizione di esercitare per gli avvocati ebrei, in ottobre il ritiro dei passaporti sostituiti da una speciale carta d’identità.Ma la Notte dei Cristalli fu il punto di non ritorno. Pochi giorni dopo, il 15 novembre, gli ebrei furono cacciati dalle scuole. A fine mese le varie autorità locali si videro riconosciuto il potere di imporre il coprifuoco per gli ebrei. In dicembre fu vietato loro l’accesso a gran parte degli spazi pubblici tedeschi. La “soluzione finale” era ancora lontana. Ma la via che doveva portare ad Auschwitz fu imboccata quella notte.