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Alla Pergola di Firenze pensano che per tenere insieme l’Europa sia necessaria quella particolare trama di relazioni internazionali chiamata “diplomazia culturale”.
Ne è un esempio la coproduzione franco- italiana Mary Said What She Said, spettacolo diretto dal regista americano Bob Wilson, con una mirabile prova d’attrice di Isabelle Huppert nel ruolo di Maria Stuarda e la musica imponente di Ludovico Einaudi. Il monologo si prepara ad andare a Lione, ma ha fatto tappa tre giorni al teatro dello Stabile della Toscana. Questo allestimento dà avvio alla collaborazione tra l’istituzione fiorentina e il Théâtre de la Ville di Parigi, che porterà alla Pergola diversi artisti europei: Bob Wilson stesso tornerà a Firenze il prossimo anno con Jungle Book, Il libro della giungla, ora in scena nella capitale francese.
Alla scuola di Wilson il teatro continua ad apprendere la perfezione estetica di un’impostazione antinaturalista, in cui l’interprete, accettando l’artificio del suo destino, dimentica il sogno realista in favore di un sincero straniamento.
Gli spettacoli del regista americano - il cui Watermill Center di New York è coinvolto nel progetto toscano di internazionalizzazione e scambio - sono strutture geometriche, come ha detto Wilson stesso durante la conferenza stampa alla Pergola: «A me piace lavorare con la matematica e coi numeri, perché si possono codificare i pensieri in maniera più veloce».
A Darryl Pinckney, autore del monologo di Maria Stuarda, e a Einaudi Wilson ha chiesto di concepire un’opera in tre parti: «Al mondo ci sono solo o linee rette o linee curve: la prima parte volevo strutturarla come una linea retta che partisse dal retro del palco e andasse avanti verso il pubblico. Nella seconda parte volevo avere delle linee circolari e ho disegnato una mappa con degli archi e dei cerchi. La terza parte ho deciso che sarebbe stata composta da tre sezioni rappresentata da linee diagonali. Però si creano regole per non rispettarle, quindi ho aggiunto un interludio, che ha un’atmosfera e un colore completamente diversi. Altra cosa che mi piace specificare sono i tempi: quindi ho precisato le durate. Anche con Isabelle Huppert ho disegnato questo diagramma». Wilson ha ricordato come in un corso di Storia dell’Architettura abbia assistito a una delle migliori lezioni della sua vita, quando gli è stato chiesto di disegnare una città in tre minuti.
Questa capacità di sintesi nell’ideazione della struttura è importante per il regista, secondo cui il pubblico non è obbligato a capire tutto: «Si può non capire la struttura della musica di Mozart, ma apprezzarla ugualmente». I suoi spettacoli sono sempre molto visivi, rifiutano psicologie e psicologismi, in essi la forma è sovrana e anche le emozioni passano di lì.
Sulla Huppert osserva: «Lei non mi chiede mai perché a un certo punto dell’opera debba alzare la voce o abbassarla, che cosa significhi un dato gesto o l’altro. La maggior parte degli attori invece chiederebbe. In Germania, ad esempio, non si può fare un gesto senza un motivo. Per me è importante la forma: “In questo punto bisogna focalizzarsi più sull’interiorità, in questo più sull’esteriorità, qui alza la voce, qui fai questo gesto’”. Come poi gli attori si sentano in quel momento riguarda loro: nessun regista, nessun coreografo può dire a un artista come sentirsi durante l’esecuzione».
D’altronde per Wilson gesto e testo, voce e movimento possono viaggiare su binari completamente differenti. Isabelle Huppert ha parlato di una dialettica tra contrainte ( costrizione) e libertà e ha ammesso che con Bob Wilson «più sono le costrizioni, più è la libertà».
C’è un’appendice che non è un’appendice. Il grande progetto, condiviso da Regione Toscana, Comune di Parigi e Comune di Firenze, ha per attori principali lo Stabile della Toscana e il Théâtre de la Ville, ma anche, ad esempio, il Lliure di Barcellona. L’accordo prevede non solo la presenza a Firenze di altri grandi artisti, come Dimitris Papaioannou, Israel Galvan o Euri- pides Laskaridis, ma anche la partecipazione dei giovani attori diplomati alla Scuola “Orazio Costa” agli Chantiers d’Europe parigini del 2020 e la nascita di progetti ispirati a un manifesto, la Carta 18- XXI. Dagli Chantiers, dopo un periodo di lavoro con la compagnia del Théâtre de la Ville e il direttore Emmanuel Demarcy- Mota, saranno selezionati 12 attori che formeranno la Compagnia dei Giovani del Teatro della Pergola. Quest’attenzione alle nuove generazioni si era già espressa con “I Nuovi”, il gruppo a cui lo Stabile ha affidato la gestione del più antico teatro di Firenze, il Niccolini, secondo il principio per cui per favorire la crescita dei giovani è necessario affidargli anche delle responsabilità. La Carta 18- XXI è invece un manifesto cui hanno aderito importanti personalità e istituzioni culturali e che fissa dei principi per chiamare coloro che hanno compiuto o compiranno 18 anni nel XXI secolo a un impegno sui temi dell’arte, della scienza, dell’educazione e dell’ambiente. Questa Carta è stata presentata a Palazzo Vecchio la scorsa settimana, alla presenza di molte autorità dei due Paesi e con la partecipazione degli studenti del Liceo Montaigne di Parigi e del Liceo Linguistico Internazionale Machiavelli- Capponi di Firenze. L’idea è quella di precedere la politica, di agire per una reale coesione europea, per un dialogo interdisciplinare, per un atteggiamento nuovo nei confronti dell’ambiente.