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C'era una volta una Hollywood di cui quasi nessuno si ricorda più. Non era più la città dei sogni dei grandi Tycoon e dello star system, non era ancora la città del cinema rovesciata come un guanto dagli Hollywood Brats, Scorsese, Spielberg, De Palma... Era la Hollywood pop, coloratissima e un po' tramortita, incalzata dalle televisione, costretta a imitare e a rigenerarsi con l'Italia degli spaghetti western, con il Regno Unito di James Bond, con l'oriente di Bruce Lee. Era una Hollywood che flirtava con gli hippies, festeggiava da Hugh Heffner, prendeva lezioni dalla Swinging London, pescava i divi di domani dal bacino del piccolo schermo Quentin Tarantino non ha mai nascosto di essere cresciuto cinematograficamente con quella Hollywood: war movies iperbolici, imitatori di 007 come il Matt Helm interpretato da Dean Martin, che lanciò la grande e sfortunata Sharon Tate, western di serie b ispirati a Sergio Leone, tette e genialità pop nei film corsari di Russ Meyer.
Quella Hollywood un po' decaduta ma brillante chiuse i battenti nel sangue l' 8 agosto 1969, quando la Family Hippie e sanguinaria di Charles Manson irrupe nella villa di Roman Polanski e uccise tutti quelli che la occupavano inclusa la moglie del regista Sharon Tate. Tarantino la ricorda, la rievoca, la ricostruisce nei dettagli, la rimette in scena set per set e serie tv per serie. Allo stesso tempo ne racconta il tramonto nel suo film per certi versi più personale. Uno di quei film che non tollerano mezze misure: C'era una volta Hollywood lo si può solo amare molto o detestare.
Ma sugli interpreti non ci possono essere invece dubbi. Brad Pitt è perfetto nel ruolo di Cliff Booth, un attempato stuntman fedelissimo al suo capo, Rick Dalton, uno di quegli attori che imboccano il viale del tramonto avndo visto solo da lontano qualche bagliore dell'alba. E' Leo Di Caprio, forse mai così bravo e versatile, capace di regalare al suo personaggio tante facce quanti erano i generi di quella Hollywood scintillante più quelle di un protagonista alle prese con la consapevolezza del proprio fallimento. Tarantino sovrabbonda in citazioni e omaggi, costringe Di Caprio a una performance in cui passa in rassegna tutti gli aspetti dello showbiz anni ' 60, ironizza sulle star cult dell'epoca, mitraglia apparizioni, come nel suo stile: Al Pacino, Bruce Dern, Kurt Russell, Michael Madsen, ma dietro la facciata sgargiante C'era una volta a Hollywood è la storia di un'amicizia, parzialmente ispirata a quella tra Burt Reynolds e il suo stuntman fisso Hal Needham, e della sua fine, che accompagna e riflette il brusco inabissarsi della Hollywood di transizione degli anni ' 60.
Il killer di quella Hollywood, forse il criminale più famoso della storia d'America, certamente il più singolare essendo diventato il serial killer più noto della storia pur non avendo mai ucciso nessuno con le sue mani, Charles Manson, compare solo in una scena. La sua vittima, Sharon Tate, interpretata da Margot Robbie, vicina di villa di Dalton, è invece protagonista a pieno titolo. Ma con lei, a differenza che con l'ambiente circostante, il regista non ha cercato alcun realismo e la famiglia pare che non l'abbia presa bene. Sognante, sempre sorridente e felice, la Sharon di Tarantino è il riassunto di quell'epoca, anche nella sua ingenuità e persino nella sua superficialità.
La Manson Family, accampata tanto nel film quanto nella realtà in un vecchio ranch un tempo usato come un set, è a modo suo un sottoprodotto della stessa cultura della Hollywood anni ' 60, una “variabile impazzita” partorita dalla tv più che dalle degenerazione degli hippies della Haight- Asbury e della Frisco Bay.
Attaccano le ville della Hollywood scintillante nel film di Tarantino come fecero davvero nell'agosto del 1969. Ma il regista di Bastardi senza gloria non ha mai prestato troppa attenzione alla realtà storica. La loro folle impresa finisce nel migliore dei modi. Come sarebbe finita in un b movie della Hollywood anni ' 60.