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Che le star di Hollywood attacchino Donald Trump decisamente non fa notizia: non dopo due anni di dichiarazioni, manifestazioni, appelli elettorali e non. Se a farlo, sia pure indirettamente, è la sessantenne più sexy del mondo, Sharon Stone, in un'occasione solenne come il conferimento della medaglia d'oro al merito da parte della Croce rossa italiana a Roma e se, nel corso del discorso, la star di Basic Istinct prende di mira anche il più potente leader politico italiano, Matteo Salvini, l'anatema di stacca dal brusio delle critiche e dei vituperi a getto continuo e si staglia con la forza di un a solo. Non che l'attrice di Saegertown, Pennsylvania, abbia citato con tanto di nome e cognome i due bersagli ma è chiarissimo lo stesso chi abbia in mente quando invita a «smettere di votare politici che promettono di non fare entrare migranti nei nostri confini».
Non è ancora il livello De Niro, che una volta ha rivelato pubblicamente il suo sogno di «prendere il maiale a pugni in faccia», un'altra, dal palco della premiazione per i Tony Awards nel giugno scorso ha esordito con un sonoro ' Fuck Trump' e ancora due giorni fa, premiato a Marrackech dall'amico Scorsese e ricordando Bertolucci ha preso a morsi «il nazionalismo grottesco» del presidente tycoon. Non è neppure George Clooney, che ha argomentato nel dettaglio il suo vaffa: «Ho venduto assicurazioni porta a porta e scarpe per signora. Sono cresciuto sapendo cosa vuol dire avere o non avere l'assicurazione sanitaria. L'idea che io rappresento l'élite hollywoodiana mentre lui, che caga in un bagno d'oro sarebbe l'uomo del popolo è ridicola. Che si fotta». Ma il verdetto, se non lo stile è identico.
La relazione sentimentale tra il mondo dello spettacolo americano e il presidente è iniziata con un una luna di fiele ed è proseguita peggio. Impossibile dar conto del florilegio di maledizioni e di stroncature senza appello dedicate dalla fabbrica dei sogni e dal mondo della musica a The Don. Giusto qualche esempio aiuta però a rendere l'idea. Julianne Moore lo definisce «un incubo a cui si può mettere fine votando «. Per J. K. Rawlings, la mamma di Harry Potter, «Voldemort non era neppure alla lontana così cattivo». Stephen King, che con altri 400 scrittori ha firmato una mozione contro di lui, lo vede come «un razzista permaloso col temperamento di un bambino di tre anni». Ben Stiller si preoccupa soprattutto perché «c'è chi lo prende sul serio». Ecc... L'elenco dei nemici del Don tra attori, registi, musicisti e scrittori è sterminato. Si fa molto prima a elencare i pochissimi che invece lo supportano. Uno è Clint Eastwood, la sola star di Hollywood a sostenerlo in campagna elettorale anche se dopo l'elezione non è quasi mai tornato sul capitolo. Entusiasta a tempo pieno invece Kanye West, uno dei pochi geni che il rap abbia mai espresso. Quella di Kanye è proprio passione: nell'ottobre scorso il video del suo incontro col presidente è diventato una specie di culto. Cappellino rosso con la scritta ' Make America Great Again' e commento a tono: «Il cappellino di Trump mi fa sentire come Superman». A seguire una confessione esplicita, The Don come la figura paterna mancata nell'infanzia del rapper. A modo suo l'autore di The College Dropout è coraggioso. Trump può anche essere il presidente, ma difenderlo sia nel mondo dello spettacolo che nella comunità nera, significa esporsi a un vertiginoso crollo di popolarità. Secondo alcuni i pubblici abbracci tra Kanye e Trump sarebbero costati al rapper 9 milioni di followers su Twitter.
Lo schieramento maggioritario di Hollywood a favore delle politiche liberal, e a volte compiutamente radical, non è una novità. Non a caso l'attività della Commissione per le attività antiamericane ( HUAC) e del senatore Joe Mccarthy, l'uomo simbolo della ' caccia alle streghe', prese di mira tra la fine degli anni ' 40 e la prima metà degli anni ' 50 proprio Hollywood, con vittime eccellentissime come Charlie Chaplin, che non tornò più a lavorare nella città del cinema. Ma anche in quell'epoca tormentata la spina dorsale di Hollywood, dunque non solo la componente liberal, resisteva. E' entrata nella leggenda la lunga riunione di in cui Cecil B. De Mille, allora tanto popolare quanto potente, chiese le dimissioni di Jospeh Mankiewicz dalla presidenza della Director's Guild, accusandolo di essere comunista. A rispondergli fu un regista mai troppo apertamente impegnato, il ruvido John Ford. L'atto di accusa contro Mankiewicz si era prolungato oltre quattro ore. La replica di Ford durò pochi minuti: «Mi chiamo John Ford e faccio western. Penso che nessuno in questa stanza conosca il pubblico e sappia accontentarlo meglio di De Mille. Però Cecil tu non mi piaci e non mi piace niente di quel che hai detto stasera. Quindi propongo di votare per confermare Joe presidente, così ce ne torniamo tutti a casa». Makiewicz rimase presidente.
Però a Hollywood non sono mai mancati anche nomi eminenti conservatori e a volte apertamente reazionari, dal leggendario John Wayne a Charlton Heston e la popolarità di Reagan, il presidente più apertamente di destra della storia recente americana, travolse anche attori, registi e musicisti che erano stati in precedenza e sarebbero tornati presto schierati sul fronte opposto. Ma una opposizione così strenua, appassionata e compatta come quella contro Trump non si era mai vista, e non solo da parte di un'attrice figlia di operai e da sempre impegnata per i diritti umani e civili come Sharon Stone. Il dubbio che un po' c'entri anche una questione di stile e di eleganza è inevitabile. Non che Trump se ne lamenti: per un politico come lui, che ha prosperato sul rancore nei confronti dei ricchi e dei famosi, l'ostilità dei ricchi e famosi è manna dal cielo.