Ogni volta che qualcuno nell’entourage di Donald Trump provava a parlar male di Putin veniva zittito in malo modo. A raccontarlo è Herbert Raymond McMaster, consigliere nazionale per la sicurezza tra il 2017 e il 2018 autore di At war with ourselves: My tour of duty in the Trump White House un’opera piena di retroscena che ripercorre i 457 giorni che ha passato a fianco del 45esimo presidente degli Stati Uniti. Il quotidiano britannico The Guardian, che ha ottenuto una copia del libro in anteprima, ne ha pubblicato alcuni interessanti passaggi.

«Il capo del Cremlino, che è un abile e spietato ex agente del Kgb, ha saputo esercitare su di lui un’influenza quasi ipnotica», scrive l’ex generale 62enne, reduce dell’Afghanistan e dell’Iraq, un classico “falco” nella tradizione repubblicana anche se si definisce «apolitico». Mc Master illustra l’elementare meccanismo piscologico sfruttato dal capo del Cremlino per influenzare il presidente: «Gli faceva i complimenti, lo descriveva come una persona eccezionale, come qualcuno pieno di talento mettendo in evidenza le loro affinità di uomini forti e spiegandogli che era l’unico politico americano capace di aver buoni rapporti con la Russia».

Facendo leva sul narcisismo patologico e sulla vanità del tycoon, la manipolazione di Putin ha ottenuto gli effetti voluti come l’abbandono dell’Ucraina e il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan e dall’Iraq. Secondo Mc Master le moine del presidente russo erano uno «sforzo calcolato» per sfruttare le debolezze di Trump e per creare ad arte fratture e divisioni all’interno dell’amministrazione: «Il fatto che la maggior parte degli esperti di politica estera a Washington sostenessero un approccio duro nei confronti del Cremlino sembrava solo spingere il presidente ad adottare l’approccio opposto». Poi l’ossessione di The Donald per il rapporto Mueller sulla presunta ingerenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016 che lo videro trionfare contro Hillary Clinton: «Era talmente infervorato che diventava pressoché impossibile discutere su Putin e la Russia» Durante una conferenza sulla sicurezza del febbraio 2018 a Monaco, uscì la notizia che il procuratore Mueller aveva incriminato più di una dozzina di agenti russi per interferenze elettorali, il che mandò Trump su tutte le furie: «Era arrabbiatissimo e su precipitò a scrivere un commento sarcastico su Twitter».

Il punto di rottura tra Mc Master e Trump si consuma con il caso Skripall, l’ex 007 russo avvelenato nel marzo 2018 assieme alla figlia nel Regno unito dalle spie di Mosca; mentre tutti i leader occidentali hanno puntato, indignati, l’indice contro la Russia, Trump è rimasto in silenzio. Pare che quel giorno stesso il New York Times avesse pubblicato un articolo dal titolo: “Putin elogia Trump e castiga la politica americana”: «È rimasto letteralmente estasiato e mi ha persino chiesto di inviarlo al Cremlino ma quando sono emerse le prove inequivocabili delle responsabilità russe nell’attentato a Skripall non l’ho fatto».

Nonostante i rapporti fossero diventati molto tesi, dopo le sue dimissioni, avvenute nell’aprile del 2018, McMaster non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche contro Trump a differenza di altri ex funzionari che si sono tolti più di un sassolino dalle scarpe. Nel suo ultimo giorno di lavoro Trump lo ha ricevuto nello studio ovale assieme al vicepresidente Mike Pence per salutarlo e ringraziarlo dei servigi svolti per l’amministrazione: «È stato molto affabile e affettuoso, in quel momento con me erano presenti i miei quattro nipoti e lui gli ha detto in tono scherzoso: “Tuo zio è un bravo ragazzo, uno molto determinato, e ha fatto un lavoro fantastico per me”. Poi si è congedato pregandomi di non scrivere nulla di brutto sul suo conto».