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Il ternano
Vi proponiamo l’incipit del racconto breve il “Ternano”, scritto da Massimo Ubertone, vincitore della categoria racconti della prima edizione Premio Letteratura per la giustizia, organizzato dal Cnf, dalla FAi e dal Dubbio.
di Massimo Ubertone
Antonio Corradini, presidente dell’ordine degli avvocati di Rovigo, è anche un gran cacciatore, e a casa sua ha un frigorifero speciale che quando è stagione si riempie di selvaggina. Così, prima che arrivi l’inverno, ci scappa sempre una cena per i colleghi; e siccome i colleghi affezionati sono tanti, e le anatrine e i colombi selvatici ancora di più, si va in campagna all’osteria dalla “Pasqua”. Antonio mette a disposizione la materia prima; la Pasqua (che non è un nome di invenzione, ma una signora florida con l’aspetto e la meritata reputazione di una buona cuoca) la manodopera e una saletta riservata per noi. Una ventina, tutti avvocati. Sto per l’appunto tornando a casa in macchina per la stradina che dalla “Pasqua” porta a Rovigo e, come succede dopo una cena in compagnia, faccio mentalmente il bilancio della serata, che è stata piacevole e animata, al solito, da una conversazione brillante. Venti avvocati a tavola insieme è come dire venti galli in un pollaio, perché i miei colleghi, chi più e chi meno, hanno tutti il complesso del protagonista. Stamattina, in tribunale, facevano a gara per superarsi con raffinate argomentazioni giuridiche, e questa sera la competizione si è semplicemente spostata sulla battuta, o l’aneddoto colorito. Abbiamo anche bevuto un po’, naturalmente, e qualche patente adesso potrebbe essere a rischio, se non fosse che conosciamo piuttosto bene tutti i carabinieri e gli agenti della polizia stradale della zona. Sto prendendo coscienza solo ora di un certo senso di pesantezza che mi accompagna da un poco. Non è il vino, però. La colpa, lo so, è di uno dei tanti racconti della serata, quello del federale Tirelli, che mi ha lasciato dentro una specie di sedimento, come il ricordo di un sogno che avevo già sognato. Anzi, dell’incubo che almeno una volta hanno fatto tutti gli avvocati. O, forse, tutti gli uomini. È stato Vittorio a raccontare la storia, alla fine della cena, dopo il caffè, in quella fase della serata in cui ci si è stancati delle battute ad effetto e delle risate, e la conversazione comincia a prendere un tono più riflessivo. Ed essendoci più di uno tra di noi ormai prossimo alla settantina, era inevitabile che il discorso andasse a finire su come è degenerata la nostra professione nel giro degli ultimi decenni. È sempre lì che si va a parare.Così sono saltati fuori i nomi di quelli che erano considerati i grandi avvocati nella Rovigo di tanti anni fa. Pochissimi, naturalmente, le cui effettive qualità professionali e bizzarrie personali sospetto siano ormai indistricabili dalla modesta leggenda di provincia che si portano dietro. Tra questi, Ugo Tincani, penalista di grido, antifascista, partigiano e poi protagonista della tumultuosa politica locale del primo dopoguerra. Oratore brillante, secondo i canoni retorici dell’epoca, ma anche amante del buon vivere e del buon vino, tanto da essersi guadagnato il soprannome di Avvocato “Trincani”. Era rimasta storica la risposta data ad un oppositore politico che, in consiglio provinciale, nell’ambito di una polemica di cui si è persa memoria, gli aveva detto: “Avvocato, mi sembra che voi stiate annacquando il vino”. Tincani lo aveva fulminato con lo sguardo che in Assise riservava ai testimoni falsi e calunniatori, poi aveva tuonato: “Nella mia vita sono stato bersaglio di infinite accuse da parte dei miei avversari. Molte erano fondate, e alcune di queste sono per me oggi motivo di orgoglio. Ma nessuno, ripeto, nessuno potrà mai accusarmi di aver annacquato il vino!”. Erano seguiti cinque minuti di applausi sia dai banchi della maggioranza che da quelli dell’opposizione. Di storielle come questa su Tincani ne sono state tirate fuori due o tre da parte degli avvocati “over 65” che lo avevano conosciuto di persona, e tutti ne abbiamo riso. Poi stranamente è stato Vittorio (Cio per gli amici), che per tutta la sera ci aveva divertito con i racconti delle sue intemperanze passate e presenti di vecchio ragazzaccio, a riportare la conversazione su di un registro serio: “Quando penso alla preparazione che avevano gli avvocati come Tincani rispetto a quelli di oggi, mi prende lo sconforto. Io studiavo con Carlo, il figlio, e ho passato tante sere a casa loro per preparare l’esame di procedura civile. Se avevamo qualche dubbio, io e Carlo andavamo a disturbare suo padre. Lui era un penalista, probabilmente non seguiva un processo civile da decenni, eppure ci rispondeva con una precisione assoluta, senza nemmeno guardare il codice, richiamando a memoria non solo gli articoli, parola per parola, ma anche i vari orientamenti della dottrina.