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Il sogno di una rivoluzione mondiale che, dopo Mosca e san Pietroburgo, conquistasse anche le capitali dell'occidente spezzando l'isolamento dell'Unione sovietica si spense a metà del gennaio 1919. ' L'ordine regna a Berlino' aveva scritto il 14 gennaio su Die Rote Fahne, l'organo della Kpd, il neonato partito comunista, Rosa Luxemburg, commentando la sconfitta della rivolta spartachista iniziata il 4 gennaio e stroncata dopo una settimana dai Freikorps arruolati dal governo social- democratico. ' L'insurrezione è stata sconfitta. Forse non era matura né organizzata. Ma dalla sconfitta di oggi fiorirà la vittoria futura', proseguiva l'ultimo articolo della più brillante dirigente comunista dell'epoca, l'unica ad aver ipotizzato una strategia rivoluzionaria alternativa a quella del partito militante a ranghi serrati di Lenin, che pure la stimava moltissimo.
Non ebbe il tempo di provarci di nuovo. La sera del 15 gennaio, a rivolta ormai domata, lei e Liebknecht furono catturati dai miliziani del Freikorp guidato dal capitano Waldemar Pabst. Furono interrogati, malmentai, poi nella notte Pabst diede ordine di ucciderli. Rosa fu caricata su una macchina, colpita col calcio del fucile alla testa, poi giustiziata con un colpo alla testa, infine il corpo fu gettato nel canale Landwher. Fu ritrovato solo il primo giugno. Libeknecht fu fucilati nel Tiergarten, il parco al centro di Berlino e il corpo fu scaricato alla Morgue. L'insurrezione spartachista in realtà non fu affatto una rivolta organizzata e neppure realmente guidata e diretta. I dirigenti del Kpd, nato appena quattro giorni prima e nel quale era confluita la ' Lega di Spartaco', fondata nell'agosto 1914 dopo che i socialdemocratici avevano votato i crediti di guerra dalla stessa Rosa, furono colti di sorpresa dalla rivolta e ne furono in realtà trascinati. La Luxemburg come l'uomo di raccordo tra i comunisti tedeschi e i bolscevichi russi, Karl Radek non credeva alla possibilità di un'insurrezione che si ponesse per obiettivo la presa del potere, ma quando la base procedette da sola all'occupazione delle redazioni dei principali giornali e della stazione, poi delle tipografie non si tirò indietro. Non era la prima volta che la base forzava la mano ai dirigenti. Quando al congresso fondativo del partito i leaders si erano schierati a favore della partecipazione alle imminenti elezioni per l'Assemblea costituente erano stati i delegati a imporre la scelta opposta.
A innescare la miccia era stata la decisione del governo di destituire il capo della polizia di Berlino Emil Eichhorn, militante della Uspd, il partito della sinistra che si poneva a metà strada tra i socialdemocratici arrivati al governo con la rivoluzione di novembre e i comunisti vicini a Berlino. Eichhorn aveva svolto un ruolo determinate nella rivoluzione di novembre a Berlino, quella che aveva rovesciato il kaiser Guglielmo II e posto fine sia alla monarchia che alla guerra. Ma i socialdemocratici, che erano arrivati al governo proprio con l'impegno di frenare la rivoluzione bolscevica Echhorn era del tutto inaffidabile. Le manifestazioni di protesta convocate dal Kpd per il 4 gennaio andarono molto oltre la partecipazione prevista dal partito. Scesero in piazza non solo molti militanti dell'estrema sinistra e dell'Uspd ma anche molti socialdemocratici.
Il giorno dopo centinaia di migliaia di manifestanti occuparono il centro di Berlino armati. Il gruppo dirigente del Kpd fu di fatto travolto dagli eventi, non riuscì a prendere una decisione sul cosa fare, rimase di nuovo spiazzato quando i manifestanti occuparono le redazioni dei giornali anti- spartachisti. Liebknecht si schierò a favore di una vera insurrezione, chiedendo non più solo il reintegro di Echhorn ma le dimissioni del governo socialdemocratico. Rosa Luxemburg pur temendo il disastro che poi effettivamente si realizzò. In quello stesso giorno il presidente socialdemocratico Ebert decise di chiedere il soccorso dei corpi franchi, i Freikorps di estrema destra che avevano mantenuto buona parte dell'equipaggiamento militare e la cui superiorità in termini di armamento era decisiva. A guidare la repressione sarebbe stato l' ' uomo forte' del governo, Gustav Noske, il ministro della Difesa che già si occupava di mantenere i contatti con l'esercito e con i Freikorps. ' Se qualcuno deve fare il macellaio, io non mi tirerò indietro', commentò il giorno stesso dell'incarico.
Non era solo azzardo estremo quello dei leader che puntavano sull'insurrezione, né quello di Rosa Luxemburg che si fece convincere a propria volta. Non avrebbe potuto fare altrimenti. La sua stessa fede, ribadita anche nell'ultimo articolo, nelle masse, le rendeva impossibile non seguire una rivolta che partiva dal basso, pur cogliendone con lucidità massima i rischi estremi. I comunisti contavano sull'appoggio dei soldati, in particolare sulla Divisione della marina del popolo, che era già stata elemento chiave nella rivoluzione di novembre. Le informazioni che erano arrivate ai dirigenti spartachisti, poi rivelatesi tragicamente infondate, assicuravano che i marinai erano pronti a schierarsi come avevano fatto due mesi prima. La Divisione decise invece di restare neutrale e il grosso delle truppe di stanza nella capitale confermò la fedeltà al governo. Il 7 gennaio, con la città paralizzata dallo sciopero generale, Ebert e l'Uspd avviarono dei colloqui che naufragarono nel giro di poche ore. Il giorno dopo il governo fece intervenire l'esercito. Il 12 gennaio entrarono a Berlino i Freikorps e repressero la rivolta nel sangue. Nonostante le insistenze dei loro compagni la Luxemburg e Karl Liebknecht non vollero abbandonare la città. Si limitarono a nascondersi ma i Freikorps li rintracciarono rapidamente.
Quelle giornate di sangue cambiarono tutto. Da quel momento l'Unione sovietica passò dalla scommessa sulla imminente rivoluzione mondiale, a partire proprio dalla Germania, alla consapevolezza dell'isolamento e dell'assedio. La Repubblica di Weimar nacque sotto la peggior stella possibile. Con Rosa Luxemburg scomparve la più lucida dirigente che, pur vicina ai bolscevichi, immaginava un modello diverso da quello del partito sovietico. La scacchiera sulla quale tutti si sarebbero mossi nei decenni successivi fu definita allora.