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Oggi parliamo del gobbista ( che talvolta è una donna, ergo della gobbista). Il dizionario Treccani così ne illustra professione, compiti e soprattutto la necessaria salvifica presenza: «Negli studî cinematografici e televisivi, inserviente addetto ai cartelloni e alle altre apparecchiature adoperati come ausilio mnemonico per attori, presentatori, ecc...» Ce n’è abbastanza, ma non quanta attenzione meriterebbe questa categoria di salariati dell’officina mediatica. Di sicuro, nel caso fosse un film, un romanzo o, perché no, un musical la nostra storia dovrebbe richiamare la fatica, o magari la frustrazione stessa del gobbista, la sua ingiusta marginalità perfino economica a fronte di un contributo fondamentale.
Ma forse è il caso di spiegare ancora meglio, plasticamente, come sia esattamente fatto il nostro bistrattato, invisibile, eroe, la nostra eroina. Il gobbista ( o la gobbista), nonostante l’apparenza defilata, “servile”, cioè da Sancho Panza della diretta, è infatti una figura cardine della meccanica televisiva, egli, in attesa di entrare in studio, risiede accanto al microfonista, ma diversamente da quest’ultimo, cui è affidata la cura di una semplice cassetta contenente i “collarini” numerati, deve invece, proprio in quanto gobbista, combattere e avere ragione, al pari di un Laocoonte con i serpenti, di numerosi fogli “Bristol” ( rigorosamente bianchi, 70X100) a disposizione per un lavoro da svolgere in velocità e presenza di spirito grammaticale e ortografico impugnando un pennarello nero, quest’occorrente indispensabile gli serve infatti per scrivere e tracciare progressivamente tutto ciò che il conduttore riferirà nel corso della messa in onda. Passi per i nomi degli ospiti in studio, che con i buchi di memoria sempre possibili è giusto che siano rammentati nero su bianco, posto che perfino l’elefante Polifemo potrebbe dimenticarli, assai meno bene quando il gobbista è invece costretto a segnare perfino i “buongiorno”, i “buonasera”, i “alla prossima puntata”, assodato che talvolta accade che debba prendersi cura d’ogni dettaglio come un Enea che trascini sulle spalle il conduttore Anchise appena tratto in salvo da un mancato sfracello alfabetico.
Osservare il gobbista fa pensare che se davvero avesse luogo una sollevazione nel quotidiano televisivo, la scintilla con estrema probabilità partirebbe proprio da questi, dunque c’è da immaginarli simili a possibili capitani del popolo condotti fin sulle barricate dalla coscienza infine raggiunta circa i limiti e la protervia di Don Rodrigo, il conduttore.
In verità, a dirla tutta, da qualche decennio esiste miracolosamente perfino un programma Word che consente di comporle e infine stamparle, le parole destinate ai fogli che, accostati alla telecamera, il gobbista dovrà innalzare a favore dello sguardo del conduttore. Questo però significa solamente che le fatiche del lavoro a pennarello, degne d’amanuensi del video, sono solo dimezzate, tuttavia restano intatti lo stress e la tensione, soprattutto se tarati sugli umori e la possibile assenza di duttilità dei già citati possibili inetti conduttori. Fino al rischio della tendinite. Infatti, qualora dedicassimo al gobbista un monumento in bronzo o piuttosto in marmo di Carrara o porfido rosso, al di là dei materiali scelti, i manufatti mostrerebbero comunque una figura in piedi, il braccio sollevato in alto a trattenere, come fosse il cartiglio di un editto, le istruzioni su fo- glio sempre lì a favore del conduttore. Peccato che l’ausilio della tecnologia nulla abbia tolto al problema di fondo della dignità del lavoro. Adesso i più informati diranno: vero però che ormai disponiamo anche di una soluzione quale l’auricolare, no? Illusioni.
Tempo addietro un amico operatore di una rete televisiva nazionale raccontava che non sarà certo quell’aggeggio ben rinserrato fin dentro il padiglione auricolare a rendere obsoleta la professione usurante di cui stiamo riferendo. Si narra ancora che, davanti a un guasto improvviso proprio dell’auricolare, una conduttrice, infuriata come regina crudele, pare abbia urlato: «E io adesso io cosa dico?!!!!».
Per queste e molte altre ragioni è abbastanza improbabile che la presenza del gobbista possa nel tempo finire nel museo dell’obsolescenza come quella, metti, dell’antico lettore di telegiornale, voce profonda, capelli imbrillantinati, pizzetto da mancato gerarca o guardia di Finanza. Attualmente, accanto alla categoria del figurante televisivo, tappezzeria di carne ingaggiata a buon mercato per essere pronto all’applauso al minimo cenno dell’assistente di studio, il gobbista, se visto sotto una luce marxiana, incarna a tutti gli effetti la classe subalterna, in quanto sfruttato garantito della catena di assemblaggio televisiva.
Ogniqualvolta mi trovo a riflettere sullo stato mentale e soprattutto culturale di molti primattori della televisione, sulla loro mediocrità sostanziale, poco importa se conduttori o autori da titoli di testa, poco importa se cooptati per ragioni nepotistiche o politico- clientelari, non tutti ovviamente, gli occhi corrono d’istinto all’immagine del gobbista, provo a immaginarne i pensieri, le aspirazioni, i sogni, le rabbie trattenute a stento, la sveglia che suona per riportali alla dura realtà dell’uniposca nero e del foglio bianco da riempire, l’assenza di autentiche gratificazioni, il polso e la spalla doloranti, penso così e socchiudo le palpebre in attesa del suono secco del pennarello finalmente scagliato per terra, preludio di una ribellione individuale finalmente lì in onda.