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Si rimane letteralmente incantati e catturati, in una coltre fitta di silenzio, dalle parole, accompagnate solo dalla musica, dalla passione e dalla potente forza interpretativa di Massimo Popolizio che sceglie questa volta di affrontare “Furore” di John Steinbeck, per la drammaturgia di Emanuele Trevi. In scena, con musiche eseguite dal vivo da Giovanni Lo Cascio, fino all’ 1 dicembre al Teatro India di Roma.
Un monologo - manifesto- reportage dello Steinbeck, scrittore e cronista, premiato nel 1940 col Premio Pulitzer e un American Booksellers Book of the Year Award, sulla grande depressione americana del 1929 e sulla conseguente condizione economica, sociale ed umana dei lavoratori agricoli e dei cittadini americani.
“Furore” è considerata un‘ opera della letteratura americana, scritta nel 1939 dal premio Nobel per la letteratura nel 1962.
Dopo “Ragazzi di Vita” e “Un Nemico del Popolo”, Popolizio si immerge fino in fondo in questo testo drammaturgico scandito dalle note musicali e dai colpi di batteria, ma non solo, di Giovanni Lo Cascio. Con la sua carica scenica rappresenta in modo esemplare la partitura evocatrice di una condizione umana e sociale più che mai contemporanea e di grande attualità, ripercorrendo le sofferenze e la deprivazione umana in nome della proprietà. Il testo suddiviso in capitoli, tra cui alcuni davvero emblematici riguardo “l’odio, gli emigranti, la polvere, la terra, il trattore”. Temi e argomenti che richiamano fortemente le storie dei popoli, di uomini, donne e bambini dai capelli biondi “come il mais”, di contadini che trasmigrano da un paese all’altro, stipati, accovacciati nella polvere sollevata dal trattore mentre grassi proprietari terrieri difendono i loro averi: “Gli emigranti sono sporchi, il Paese è nostro”.
Una partitura molto ben congegnata scandita anche dalle belle ed efficaci foto della mostra “The Grapes of Wrath” di Dorothea Lange e Walker Evans, che accompagna e affianca lo spettacolo, che si può visitare fino al 1 dicembre nelle sale dell’India antistanti al teatro. Le testimonianze fotografiche provengono dagli archivi del governo americano, sono accompagnate da una selezione di brani estratti dal libro, che tratteggiano in modo significativo il percorso dall’Oklahoma fino agli alberi di arance della California, sulle tracce dell’atmosfera del capolavoro di Steibeck.
Una fusione così ben amalgamata tra immagine, musica e parola, tra realismo e cronaca, tra passato e presente, di cui il protagonista e narratore impeccabile è lui, Massimo Popolozio, con le sue sferzanti tonalità di voce alle prese con carte e giornali, e con altri personaggi a cui dà voce e sostanza. «Leggendo “Furore”, impariamo ben presto a conoscerlo, questo personaggio senza nome – scrive Emanuele Trevi – che muove i fili della storia. Nulla gli è estraneo: conosce il cuore umano e la disperazione dei derelitti come fosse uno di loro, ma a differenza di loro conosce anche le cause del loro destino, le dinamiche ineluttabili dell’ingiustizia sociale, le relazioni che legano le storie dei singoli al paesaggio naturale, agli sconvolgimenti tecnologici, alle incertezze del clima Tutto, nel suo lungo racconto, sembra prendere vita con i contorni più esatti e la forza d’urto di una verità pronunciata con esattezza e compassione» . “Furore” è un progetto che sta dalla parte dell’umanità che soffre e che, nella tragedia, mostra quella solidarietà speciale verso chi è più debole: del resto non fa forse questo “Rose of Sharon” nell’allattare il pover’uomo denutrito?”, una delle parti più drammatiche, più umane e più toccanti del romanzo che giustamente Popolizio ha enucleato per darne risalto.
La produzione è della Compagnia Umberto Orsini con il Teatro di Roma - Teatro Nazionale – e il progetto rappresenta una prima tappa di un più articolato lavoro. È impedibile per chi non l’avesse ancora visto perché “Furore” è: «Un’opera sonora che porta sul palco la nostra dolorosa e urgente attualità».