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Dal 21 gennaio, sarà in scena al Teatro dell’Opera di Roma I Masnadieri di Giuseppe Verdi, lavoro poco rappresentato in Italia ( mentre lo si vede spesso nei Paesi di lingua tedesca).
Tratto da una tragedia di Schiller, l’opera ebbe la prima assoluta a Londra nel luglio 1947 ed approdò al Teatro Apollo a Tor di Nona a Roma l’anno seguente. Non ebbe un grande successo né sulle rive del Tamigi né su quelle del Tevere. Di recente, si è vista a Napoli, Venezia e Parma in un allestimento di Gabriele Lavia in cui “i masnadieri” assomigliavano piuttosto ai metallari. L’allestimento romano è curato da Massimo Popolizio; alla bacchetta ci sarà Roberto Abbado.
I Masnadieri offre lo spunto di esaminare le relazioni di Verdi con “i poteri costituiti” in quanto è la prima volta che il musicista prende apertamente parte per coloro che sono, e vogliono essere, fuorilegge. Tra le leggende su Verdi, ci sono quelle che lo descrivono ardente patriota e seguace dei Savoia nel progetto cavouriano di unificazione dell’Italia. Nulla di più errato. Non solo gli dava fastidio che il suo nome venisse utilizzato come acronimo di Vittorio Emanuale Re d’Italia ( V. E. R, D. I) ma quando dopo la presa di Roma accettò di diventare Senatore del Regno, alla moglie Giuseppina Strapponi scriveva che la cosa migliore del Senato erano i divani dove si poteva dormire il sonno dei bambini. Compose una sola opera “patriottica”, La Battaglia di Legnano, che, commissionata dalla breve Repubblica Romana del 1849, debuttò al Teatro Argentina. All’epoca, i triunviri alla guida della Repubblica ( Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Carlo Armellini ed i loro braccio armato, Giuseppe Garibaldi) erano considerati dal resto d’Europa ( e dallo stesso Regno di Sardegna) come dei pericolosissimi briganti. Tanto quanto i cavalieri della morte della Lega Lombarda che combattevano contro Federico Barbarossa.
In effetti, pur se fedele suddito, prima, di Maria Luigia Duchessa di Parma e Piacenza, poi, del Lombardo – Veneto della Monarchia Austro Ungarica, ed, infine, del Regno d’Italia, in cuor suo Verdi parteggiava per coloro che i poteri costituiti, i nobili, la borghesia ed anche i ceti meno abbienti consideravano “briganti”. Non erano sentimenti tanto nascosti, tenuti nel segreto della sua azienda agricola di Sant’Agata nei pressi di Busseto. Li proclamava apertamente nelle sue opere.
Ad esempio, nella così detta trilogia popolare ( Rigoletto, Il Trovatore e Traviata) aristocrazia ed alta borghesia sono presentate come ceti corrotti da combattere; ne Il Trovatore una banda di zingari, guidati dal protagonista, Manrico, vengono esaltati nella lotta loro contro il potere legittimo del Conte di Luna nei suoi territori. Tornando al periodo giovanile di Verdi, Alzira è un’epopea ( a lieto fine) dei guerriglieri peruviani contro i conquistatores spagnolo, Giovanna D’Arco è anche lei una guerrigliera contro i conquistatori inglesi ( della Francia del Quattrocento), Ernani è un proscritto contro chi governa l’Aragona, Il Corsaro viene elogiato per le sue scorrerie tra le isole dell’Egeo. E via discorrendo.
Ma i lavori più apertamente a favore dei ribelli ( tali erano quelli che alimentavano il fenomeno del brigantaggio nel meridione, specialmente dopo la creazione del Regno d’Italia) sono quelli della maturità. Ne I Vespri Siciliani, con l’aiuto degli Spagnoli, i partigiani siciliani sono apertamente in guerra con i francesi allora Signori dell’Isola. In Simon Boccanegra ( specialmente nelle due prime versioni, nella terza il libretto, rimaneggiato da Boito, ha un breve cenno in favore dell’unità d’Italia), il protagonista è un “corsaro”, costretto, per amore, a scendere in politica ed ad diventare Doge di Genova, ma sino alla morte rimpiange le sue scorrerie nei mari.
In Un Ballo in Maschera si elogiano addirittura i congiurati contro il Governo. In Don Carlos, l’elogio va agli scissionisti delle Fiandre contro il Re di Spagna, che è sottomesso unicamente ad un potere più terrificante ed odioso, quello della Chiesa incarnata dalla Inquisizione. Il tema ritorna in Aida: il protagonista è il generale egiziano Radames, “traditore della Patria” per amore della bella schiava Etiope, viene preso dall’esercito egizio, ma condannato ad essere sepolto vivo dai sacerdoti insensibili anche alle preghiere della figlia del Re. Otello, infine, è stato anche lui un corsaro prima di assurgere ad alti ranghi nella marina della Repubblica di Venezia e, quindi, Governatore di Cipro.
Resta, però, sempre un diverso, un escluso, tanto che la tragedia scatta quando i poteri costituiti gli tolgono i blasoni e, senza troppi complimenti, lo licenziano.