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L’eco della reazioni entusiaste della stampa d’oltreoceano ed anglosassone ha aumentato le aspettative rispetto a The irishman, il nuovo film di Martin Scorsese e dopo la premiere nel quinto giorno di Festa del cinema di Roma non ci sono più dubbi: il film con protagonisti Robert De Niro e Al Pacino è sicuramente uno dei migliori film del regista italo- americano.
Arriva alla Festa di Roma dopo che l’anno scorso si era concesso in un incontro Scorsese e lo fa con la voglia di andare a fondo ad uno dei suoi film più personali.
The Irishman è in superficie il racconto della vita e dell’ascesa di un criminale, Frank Sheeran ( De Niro) nell’America del dopoguerra, da lui stesso narrata, e si impegna a svelare uno dei misteri irrisolti della storia americana, quello sulla scomparsa del famosissimo ed epico sindacalista Jimmy Hoffa, interpretato da Al Pacino.
Perché solo in superficie? In realtà da l’occasione a Scorsese per affrontare con melanconia e profondità il momento in cui il passato diventa passato e ci ritroviamo soli a tirare le somme. È una storia nata per volontà di due amici, Scorsese e De Niro che da tempo volevano tornare a lavorare insieme: «L’ultima volta che abbiamo lavorato insieme è stato con Casino, nel 1995 e negli anni abbiamo sempre cercato il soggetto e il personaggio giusto. Poi a Bob è stato dato questo libro, intitolato I Heard You Paint Houses e, dopo averlo letto, quando mi ha descritto questo personaggio e l’emozione che ha esibito descrivendolo, dalla sua reazione ho sentito che doveva essere qualcosa su cui potevamo lavorare» racconta Scorsese e aggiunge: «Avevamo la possibilità di lavorare sull’intero arco di una vita, sull’amore, il tradimento, il rimorso e infine il senso di mortalità di tutti noi».
Un film è tanto grande quanto più è ampia la sua capacità di toccare le corde di chiunque lo guardi, affrontare temi universali e senza tempo. The Irishman in questo è attualissimo e colpisce a fondo ogni spettatore. Su ciò che lo rende attuale Scorsese approfondisce: «I film non devono essere ambientati nell’oggi per essere contemporanei, sono i conflitti morali a renderli tali. The Irishman si svolge in un tempo passato ma l’esperienza umana è immediata, è questa e alcuni aspetti di quest’uomo, Frank, possono parlare alle persone. I suoi sentimenti, la sua moralità o immoralità possono essere accessibili anche a persone che sicuramente allora non c’erano».
I 210 minuti che compongono The Irishman sembrano essere divisi in due parti, una in cui seguiamo la nascita di un gangster e che inevitabilmente rimanda al cinema scorsesiano di Casino o Quei bravi ragazzi ( data la presenza di un Joe Pesci in stato di grazia) ed un’altra introspettiva, riflessiva, conclusiva e melanconica in cui Frank Sheeran deve fare i conti con le scelte che lo hanno portato ad essere un vecchietto solo e dimenticato in una casa di riposo. ù Conferma questa sensazione Scorsese: «La melanconia si c’è ma ci si trova a proprio agio in essa. Frank ha tagliato i ponti con la famiglia, la famiglia lo ha lasciato solo ma tutto quel conflitto e questa violenza è qualcosa che appartiene al passato e nessuno neanche se ne ricorda. La malinconia viene dal fatto che la morte fa parte della vita. C’è un’accettazione della fine della vita».
Potrebbe sembrare un gangster movie alla vecchia maniera The Irishman ma non c’è spettacolarizzazione di quella vita e neanche celebrazione. Il cineasta italoamericano ricorda che non è più il momento di farlo, il presente è già passato: «Non c’era più bisogno di esaltare il personaggio criminale come avevano fatto Scarface o altri gangster movie americani e anche in quel caso gli spettatori chiedevano che il gangster che idealizzavano alla fine cadesse come in una sorta di catarsi. Qui è tutto nel passato, le decisioni sono state prese. Quasi come succede nell’ambiente militare dove le cose vanno fatte, nel film non abbiamo mai pensato a rendere spettacolare la storia, per noi lo spettacolo era interiore».
A pensarci suona anche strano ma Martin Scorsese e Al Pacino non avevano mai lavorato insieme prima di questo film: «Con Pacino non avevo mai lavorato, l’ho conosciuto nel 1970 grazie a Francis Ford Coppola, stavamo per fare un progetto su Modigliani, abbiamo sempre voluto lavorare insieme ma lui ha lavorato intanto con Coppola e Brian De Palma» racconta Scorsese, «così tanto è venuto nel film del rapporto reale tra De Niro e Al Pacino, si rispettano e si vogliono bene, come professionisti e amici. Negli ultimi 40 anni hanno sempre avuto un rapporto molto forte».
L’arrivo di Netflix a finanziare il film e permetterne la realizzazione, ha reso possibile soprattutto l’utilizzo della tecnica del de- aging, attraverso la quale Al Pacino, Robert De Niro e Joe Pesci hanno potuto interpretare i loro personaggi per un arco narrativo di circa 40 anni. Scorsese descrive l’esperimento con la CG - computer grafica e racconta il salvataggio Netflix: «Oltre agli effetti digitali, per girarlo ci è voluto molto tempo, la tecnologia era sperimentale e senza di questa, in circa metà del film sarebbe dovuta essere recitata da attori che interpretavano Sheeran e Hoffa da giovani ed io non lo volevo fare, volevo fare un film con i miei amici. Alla fine si è presentata Netflix che mi ha detto: ti diamo il finanziamento con questa magia della tecnologia e anche tutto il tempo che vi ci vuole. In più avete libertà creativa completa e altri 6 mesi di postproduzione per lavorare a questa tecnologia CG». Il quinto giorno della Festa del Cinema si chiude con molta soddisfazione da parte di chi ha visto The Irishman e i risultati di questo “filmone” li vedremo sicuramente alla cerimonia degli Oscar.