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Dopo il successo della prima giornata, il Festival si è tolto un altro sassolino dalla scarpa e ha risposto, seppur indirettamente, alle polemiche degli ultimi giorni, capitanate dalla rivista The Hollywood Reporter, che l’accusano di essere maschilista per avere selezionato solo una regista in concorso. I film della seconda giornata di festival sono infatti, fatta eccezione per The mountain di Rick Alverson che si arricchisce della presenza imponente e straordinaria di Jeff Goldblum, di registi affermati come il greco Yorgos Lanthimos e il messicano Alfonso Cuarón che puntano quasi totalmente sulle donne protagoniste.
Cuarón con Roma si allontana dal mondo mainstream e hollywoodiano, in cui ha navigato per anni con picchi d’eccellenza come Gravity e
I Figli degli Uomini e ritorna alla sua Città del Messico ed al suo quartiere, Roma, per ripercorrere la sua infanzia, negli anni 70. C’è chi lo ha già definito l’Amarcord del regista messicano che, a 5 anni da Gravity, regala alla Mostra il suo film più intimo, dedicato alle donne che hanno fatto parte della sua vita. Cuarón si concentra sul ri- trarre una famiglia borghese e le figure femminili che ne fanno parte, dalla madre dei quattro figli alla domestica Cleo di origine mixteca. È proprio su Cleo che lo sguardo di Cuarón si posa: sull’amore che la donna riversa su figli che non sono suoi e su come la mancanza di una figura maschile non faccia che rinforzare il legame tra le donne di casa, una sorta di matriarcato, una struttura possente di cura e affetto.
«Le donne nella mia casa – spiega il regista – sono quelle che hanno portato avanti tutto, non c’erano uomini. Da quando sei adolescente inizi a capire meglio certe situazioni, ma la cosa sorprendente è stato scoprire la donna che c’era oltre la figura di madre». Il film racconta anche il mondo fuori, le proteste studentesche di quel periodo ed il massacro del Corpus Christi. Tutto è reso da Cuarón con lunghissimi piani sequenza che gli permettono di controllare tutto ciò che vuole raccontare, dentro e fuori da quel nucleo che con nostalgia lo richiama a quando era un bambino.
Meno sentimentale ma sempre cinico e irriverente è Yorgos Lanthimos. Al terzo film, si distanzia dai suo precedenti in stile e contenuti e si addentra nel territorio dei film in costume per raccontare la storia della Regina Anna. Siamo nell’Inghilterra del 1700, sullo sfondo della guerra tra gli inglesi e francesi, e il regista si concentra sulle due donne che si sono contese le sue attenzioni, il suo amore, i suoi favori. The Favorite – La favorita è il titolo della commedia amara del regista greco che mette a confronto Rachel Weisz e Emma Stone rispettivamente nei panni di Lady Sarah Churchill e Abigail Masham ( dama caduta in disgrazia, cugina di Sarah e disperatamente alla ricerca di un modo per tornare a brillare) intente a vincere potere e gloria grazie alla regina interpretata dall’attrice inglese Olivia Colman.
Non è una regista ad aver diretto La Favorita ma Lanthimos si fa totalmente trasportare dalle donne perché nel film gli uomini sono irrilevanti seppur dotati formalmente di potere. È il caso dell’aspirante primo Ministro, nobile parruccato e truccato, interpretato da Nicholas Hoult o dell’unico e insistente pretedente di Abigail ( Joe Alwyn). Le tre donne dominano l’attenzione e gli spazi. Le dinamiche che le coinvolgono sono un piccolo esempio di politica, relazioni di coppia, corruzione, tradimenti e vendette. Seppur ambientato nel 1700, il cinismo e la satira di cui è impregnato rende La Favorita un film che parla del presente e che ci dimostra come sia ancora molto complicato capire esattamente quale sia il confine tra vita privata e potere. Difficile dire chi sia più brava tra Emma Stone, Olivia Colman e Rachel Weisz che non sbagliano uno sguardo, una battuta e non perdono occasione per rendere ogni frase o azione degna di nota. Per non parlare sempre di metafore e passato, la Mostra fuori concorso propone un film molto ancorato nell’oggi: il documentario della giornalista e reporter Francesca Mannocchi e del fotografo Alessio Romenzi: Isis, Tomorrow. The Lost souls of Mosul. Girato in due momenti, ripercorre i mesi di guerra attraverso le testimonianze e i racconti dei ragazzi addestrati dall’Isis a diventare kamikaze, delle vittime di quest’ultimi e di chi li ha combattuti e spesso uccisi. “I bambini sono il futuro” ci ripetiamo spesso e mai frase è stata più vera, ma questo concetto spaventa ancora di più se si pensa che il destino dell’Iraq è in mano a dei ragazzi che hanno conosciuto solo la morte, quella subita o quella perpetuata. Il film sarà distribuito a settembre in Italia con la ZaLab di Andrea Segre.