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Il libero esercizio della professione di avvocato finì il 29 giugno 1939, con la legge n. 1054. In base all’articolo 3, i cittadini di razza ebraica che esercitavano la professione di avvocato, purché avessero «ottenuto la discriminazione a termini dell’art. 14 del Regio decreto- legge 17 novembre 1938 n. 1728» venivano iscritti «in “elenchi aggiunti” da istituirsi in appendice agli albi professionali». All’articolo 4, invece, si stabiliva che gli avvocati di razza ebraica «non discriminati», dovevano essere iscritti a “elenchi speciali” e potevano «continuare nell’esercizio professionale con le limitazioni stabilite dalla legge».
Tre albi, tre situazioni giuridiche distinte. La prima, quella degli avvocati e procuratori di razza ariana, che garantiva l’esercizio della professione. La seconda, quella degli avvocati «discriminati» iscritti negli “elenchi aggiunti”, cui era consentito il patrocinio ma senza poter ricoprire incarichi che comportassero lo svolgimento di funzioni di pubblico ufficiale, né per conto di fondazioni, associazioni e comitati, nè potevano essere nominati amministratori giudiziari, revisori dei conti e periti. La terza, infine, quella degli avvocati «non discriminati» iscritti negli “elenchi speciali”, che potevano esercitare esclusivamente in favore di cittadini ebrei, «salvo casi di comprovata necessità e urgenza».
Esiste memoria negli archivi dei Consigli degli ordini degli avvocati delle delibere di cancellazione di colleghi ebrei e della loro reiscrizione nei nuovi albi. Ogni atto, con l’intestazione del Sindacato fascista degli avvocati e procuratori ( che aveva affiancato l’ordine professionale a partire dal 1926, assumendone tutte le prerogative), recava in calce la richiesta, la presa d’atto e l’unanime accoglimento da parte del Direttorio. Proprio il fatto che l’avvocato chiedesse la cancellazione dal proprio albo, infatti, era il prezzo umiliante da pagare per venire iscritto all’elenco speciale e il primo passo per ottenere la «discriminazione». Il professionista doveva anzitutto autodenunciarsi al proprio Ordine come ebreo e chiedere di venire cancellato dall’albo ordinario. Poi era necessario dimostrare la propria fedeltà al regime fascista e il sostanziale appoggio alla discriminazione razziale. Infine, non restava che aspettare. Nell’attesa, l’avvocato non poteva esercitare e il cliente ariano, secondo l’articolo 27 della legge del 1939, poteva in qualsiasi momento revocare il mandato al professionista ebreo, anche prima che questo si cancellasse dall’albo. Il procedimento di cancellazione, secondo la legge, doveva concludersi entro il febbraio del 1940 e nascondeva un proposito odioso quanto subdolo: mettere gli avvocati ebrei uno contro l’altro, con maggiori concessioni professionali a chi si autodenunciava e chiedeva la «discriminazione».
Impossibile determinare i numeri della diaspora silenziosa: già nel 1938 molti avvocati si cancellarono volontariamente dagli albi, per evitare l’umiliante trafila poi imposta dalla legge dell’anno successivo. Le prime cancellazioni avvennero a Genova, il 18 ottobre del 1939: furono cancellati 11 avvocati e procuratori. Poi venne Roma, il 13 dicembre: su un totale di 1844 avvocati, ne furono cancellati 67. Poi, Torino, il 27 dicembre: 25 avvocati espulsi senza discriminazione, 10 discriminati e 15 cancellati dall’albo. A Firenze, il 16 gennaio 1940, furono “discriminati” 4 avvocati ebrei e 22 vennero espulsi.
[caption id="attachment_31081" align="alignnone" width="516"] Un tribunale speciale fascista[/caption]Bisognerà aspettare il 1944 per uscire dal buio. Adone Zoli ( a cui, nel 1957, il Capo dello Stato Giovanni Gronchi affidò la presidenza del consiglio di un governo monocolore democristiano), avvocato fiorentino ed eroe della resistenza antifascista, venne nominato dal Comitato Toscano di Liberazione Nazionale commissario speciale per la ricostituzione per l’Ordine forense di Firenze.
Il suo primissimo atto - il secondo fu l’indizione di libere elezioni del Consiglio - fu la riunione della Commissione Straordinaria per deliberare la riammissione all’albo «degli esclusi per motivi razziali». Si legge nel verbale di seduta: «la commissione, ritenuto doveroso di annullare immediatamente i provvedimenti che si basavano su principi ripugnanti alla coscienza e al Diritto, delibera la immediata reiscrizione negli albi dei colleghi cancellati per motivi razziali e la abolizione degli albi aggiunti» . Seguirono la ricostituzione dei Consigli degli Ordini con il decreto legislativo luogotenenziale numero 382 del novembre 1944 e il ritorno ad un unico albo professionale. Rimangono, oggi, il ricordo di quei nomi elencati uno sotto l’altro con la parola “cancellato” a margine, la loro riabilitazione spesso postuma e la necessaria memoria di ciò che avvenne e delle sue conseguenze, «ripugnanti alla coscienza» prima ancora che al diritto.