Difficile trovare, nella recente storia del cinema, un interprete amato allo stesso modo dai cinefili più selettivi e dal grande pubblico come Gene Hackman. L'amore dei primi è sbocciato con un film e una data precisa: 1974, “La conversazione”, di Francis Ford Coppola. Una pellicola per la quale la devozione degli appassionati non ha mai cessato di crescere, contribuendo a costruire il mito della bravura e dell'estrema versatilità dell'attore statunitense trovato morto nella sua abitazione assieme alla moglie 63enne e al cane.

Una scena finale tra le più angoscianti ed emblematiche della produzione della nuova Hollywood, nella quale si assiste al graduale e definitivo scivolamento nella follia paranoica dell'introverso investigatore privato (specializzato in intercettazioni) Harry Caul. Una prova titanica, fatta di silenzi e di sfumature psicologiche che conducono lo spettatore nel mondo interiore del protagonista senza alcun didascalismo o spunto istrionico. Un capolavoro che, come ha ricordato Coppola stesso, non sarebbe stato tale senza Hackman, così come risulta difficile immaginare attori diversi al suo posto in tutte le interpretazioni più famose.

Si potrebbe dire che ognuno ha un Gene Hackman prediletto, una caratterizzazione, un personaggio rimasto impresso più degli altri, ma a differenza di molti suoi colleghi l'attore americano è sempre riuscito a smarcarsi da un cliché, a scongiurare il rischio di rimanere incastrato nel ruolo dell'eterno villain o del buono, come è invece capitato ad altri, mostri sacri compresi (vedi Charlton Heston o James Stewart, o più recentemente Tom Hanks). C'è il Gene Hackman più popolare, il poliziotto, un “duro” non scevro da tormenti: quello, per intenderci, del “Braccio violento della legge”, di William Friedkin, del 1972, che gli è valso il primo dei due Oscar vinti, oppure lo sceriffo degli “Spietati”, di Clint Eastwood, del 1993, film che fece vivere una seconda giovinezza ad un genere western che si voleva morto, e che gli valse la seconda statuetta, stavolta come miglior attore non protagonista.

Alla galleria dei cattivi più celebri impersonati da Hackman appartengono anche il malvagio e psicopatico presidente degli Stati Uniti in “Potere assoluto”, del 1997 o il Lex Luthor, antagonista di Superman, nella prima trasposizione cinematografica del supereroe della Dc, risalente al 1978. Una questione di misura e di sfumature, che permetteva ad Hackman di virare un potenziale cattivo in un burbero animato da nobili sentimenti. Ed è forse questa la caratterizzazione che ha riscosso – almeno in Italia – il maggiore successo, in “Mississippi Burning”, di Alan Parker, del 1987: l'agente federale Rupert Anderson alle prese con l'assassinio nel profondo Sud razzista d'America, con un'indagine sul barbaro omicidio di alcuni attivisti per i diritti civili, all'inizio degli anni 60, affiancato curiosamente da un giovane Willem Defoe nelle vesti di buono, prima di rimanere incastrato per anni in ruoli da cattivo. Un altro “buono” che è rimasto nel cuore del pubblico è senza dubbio l'allenatore di basket di “Colpo vincente”, del 1985, ma per comprendere appieno la duttilità di Hackman, a questo punto, occorre prendere in considerazione i suoi ruoli più brillanti o gli inizi più legati al teatro “off” Broadway.

Al genere “cult” appartiene l'irresistibile cameo in Frankenstein Junior, di Mel Brooks, in cui interpreta un vecchio eremita non vedente che bersaglia il mostro creato dallo scienziato con una serie di gas degne della migliore tradizione delle comiche slaspstick. Per quanto riguarda la commedia classica, impossibile non citare il ruolo del politico conservatore in “Piume di struzzo” remake americano del 1996 del successone francese “La cage aux folles” (orribilmente ribattezzato in Italia col titolo “Il vizietto”), mentre alla fase iniziale e in un certo senso sperimentale della sua carriera appartengono prove egualmente encomiabili come “Lo spaventapasseri”, del 1973, “La rivolta”, del 1969, o ancora il fantascientifico “Abbandonati nello spazio”, sempre del 1969. Un attore incredibilmente mai fuori ruolo, forse anche grazie alla eterogeneità delle esperienza di vita e professionali: a 16 Hackman era entrato nei marines, per poi darsi allo studio del giornalismo e produzione, prima dell'approdo definitivo al cinema, per la fortuna sua e del pubblico di tutto il mondo.