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Sono passati quattro anni da Il Racconto dei Racconti e Matteo Garrone, dopo il successo di Dogman, torna al cinema fantastico, alle sue creature e i suoi mostri riprendendo un capolavoro classico della letteratura italiana, Il Pinocchio di Collodi, in uscita il 19 dicembre. L’attore e regista è stato scelto da Garrone per interpretare il babbo di Pinoccho, Geppetto.
Benigni non è il solo grande nome nell’adattamento di Garrone, accanto a lui infatti, il Mangiafuoco di Gigi Proietti, il gatto e la volpe di Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini e una scoperta, quella del piccolo Federico Ielapi, che è il volto e gli occhi del piccolo Pinocchio ed anche un attore nato.
Non ne fa un mistero Garrone: realizzare Pinocchio era sempre stato il suo più grande sogno.
Non nasconde l’emozione e infatti dichiara subito: «Non vediamo l’ora che arrivi il 19, noi siamo contenti e convinti di aver fatto del nostro meglio, io ho iniziato a disegnare la storia di Pinocchio che avevo 6 anni, un racconto che mi accompagna da allora ma come regista per me era difficile resistere alla tentazione di girarlo». Guardando il film, minuto dopo minuto risulta sempre più chiara l’intenzione del regista: rimanere fedele a se stesso, alle sue atmosfere, colori e dettagli non abbandonando però mai l’obiettivo principale, la favola per tutti. «Ogni fotogramma mi appartiene ma abbiamo cercato di fare un film che possa arrivare a tutti, popolare, così come il capolavoro di Collodi, che si rivolge a tutti indistintamente dalle classi sociali e dall’età» commenta il regista e chiarisce: «Abbiamo cercato di fare un film che potesse far riscoprire il grande classico così vivo nell’immaginario di tutti ma che potesse sorprendere e incantare di nuovo il pubblico».
Sulla carta poteva sembrare anche un po’ strano ritrovare Benigni all’interno di una storia che l’attore e regista stesso aveva già riadattato in un film tra i più sfortunati della sua carriera. E invece, respirare l’entusiasmo di Benigni per Pinocchio fuori dal set e dentro il film è contagioso e appassiona: «Questa è una grande storia d’amore di un padre per il figlio, Geppetto è il padre per eccellenza insieme a San Giuseppe, il padre più famoso del mondo» dice quasi cantando Benigni che evoca il Vangelo: «Considero Garrone uno dei più grandi registi di tutti i tempi perché sa raccontare con le immagini. A Natale questo Pinocchio è un regalo per il mio cuore, per tutti gli italiani, un sentiero straordinario per quei bambini che vanno dai 4 agli 80 anni».
Per chi avesse ancora dubbi sul fatto che volesse discostarsi dall’oscurità matura dei suoi film precedenti sempre alle prese con la faccia peggiore dell’essere umano, il regista ci tiene a precisare: «Si associa il mio cinema a qualcosa di violento, cupo e duro e voi avete visto che c’è leggerezza e ironia in questo film, spero che ci aiuterete a diffondere questo messaggio». Collodi aveva scritto una storia piena di allegorie e metafore e la fedeltà alla sua opera era l’unico modo per non perdere nessun insegnamento.
Di queste lezioni di vita parla proprio il fan numero uno dell’autore e di Garrone, Roberto Benigni: «È un libro iniziatico, per usare parole banali, ci sono tutte le metafore e le allegorie possibili. Insegna che a dire le bugie ci si allunga il naso, trovata meravigliosa e famosa in tutto il mondo. Che bisogna a stare attenti a chi incontri, che se non studi diventi un somaro, che bisogna amare chi ti ama e che i miracoli bisogna raccoglierli subito. Pinocchio rimane puro come Don Chisciotte e come lo ha fatto Matteo Garrone è il più bello che ho visto perchè ognuno di noi qui si fa la storia di Pinocchio che più ama. Se Garrone lo vuole rifare e mi chiede di interpretare la balena, io la faccio».
C’è chi nei disegni, nei mostri e le creature di Garrone ha visto dei riferimenti “burtoniani”, il regista non nega niente ma ci tiene a riaffermare che il punto di partenza è sempre stato Collodi: «Sono partito dalle origini, se devo immaginare da un punto di vista figurativo chi è stato fondamentale, partirei da Enrico Mazzanti, il primo illustratore di Pinocchio e che ha disegnato a contatto con Collodi, poi chiaramente sono influenzato dalla pittura dei macchiaioli con quella semplicità cromatica e il Pinocchio di Comencini per atmosfere e senso di povertà. Sicuramente Burton è un regista che conosco bene e ammiro e può darsi che ci sia qualcosa».
Il Pinocchio di Matteo Garrone, pur rispettando il classico, è pieno di sorprese, non ultima quella della scoperta di un Mangiafuoco meno gigante burbero e più anima solitaria, scontrosa ma in fondo tenera. Merito anche di un mostro sacro come Gigi Proietti, re Mida per ogni ruolo che interpreta: «Un giorno Matteo mi telefona e chiede se voglio fare Mangiafuoco. Venne a casa mia e mi porto una mia fotografia, lavorata dal designer Pietro Scola, in cui ero già Mangiafuoco, un po’ Rasputin, un po’ russo, e io rimasi incantato da questa ipotesi anche perchè ero ancora indeciso” racconta l’attore e aggiunge: “sono veramente orgoglioso di starci e mi sono anche reso conto che Mangiafuoco potrebbe fare un suo film, su di un uomo solo che vive con i burattini di legno e all’improvviso incontra un burattino senza fili».
Andare a vedere Pinocchio significa anche assistere al riscatto di Benigni, qui al servizio del genio di Collodi e di Garrone che con maestosa umiltà, non perde occasione per elogiare il film ed il suo regista: «Se c’è stato un percorso interiore del mio personaggio, è grazie ad un regista con grande potenza e dolcezza, sembra Rossellini, tiene sempre una porta aperta, ha sempre l’orecchio teso, sembrava di girare Paisà ».