PHOTO
Francia
E' un piccolo libro, poco più di un pamphlet: sono solo 152 pagine ma sono densissime: parole che si scolpiscono nella memoria collettiva, soprattutto nella testa di chi, in questi ultimi anni, ha avuto a che fare con la giustizia. Il Libro, è ora di svelarlo, si chiama Il circo mediatico-giudiziario e l'autore, Daniel Soulez Larivière è un (ex) giovane avvocato che si imbatte per la prima volta - e nel suo primo processo - nel groviglio inestricabile e rappresentato da media e giustizia. Un impasto mostruoso in grado di condizionare pubblica opinione e processi, compreso il suo. Il giovane avvocato Lariviere si imbatte in una sorta di nuovo caso Dreyfus e si ritrova a difendere un ufficiale dei servizi segreti francesi accusato di spionaggio. Inutile dire che i media seguirono le udienze come se si trattasse del processo del secolo. La vita dell’ufficiale venne sezionata, scandagliata, radiografata. Insomma, il caso Dreyfuss sembrava non aver insegnato nulla. E di fronte a questa valanga mediatico giudiziaria fuori controllo, l’avvocato decide di stare al gioco e di spostare la sua attività anche fuori dall'aula di giustizia; e così, nel suo libro, racconta di come abbia salvato il suo cliente cavalcando quella stampa che lo aveva già processato e condannato, altrimenti, spiega, “sarebbe morto in galera da innocente”. Insomma, Lariviere, il giovane e imberbe avvocato, capisce che il processo mediatico può uccidere, certo, ma può anche salvare. E così la conclusione è una e una soltanto: il processo vero non esiste più, esiste soltanto il processo mediatico. Lo spiega bene Giuliano Ferrara nella introduzione all'edizione italiana del libro: «Credo di essere la persona giusta. Nessuno avrebbe potuto scrivere questa Introduzione con più diritto di me. Infatti mi accadde, sette anni or sono, di indossare una toga e di fare una dozzina di processi televisivi. Ma io scherzavo. Anzi, credevo di scherzare e ora non mi resta che chiedere perdono. Perché sapete tutti com'è andata a finire: le TV e i giornali la toga l'hanno indossata sul serio. Hanno preso lo scherzo in parola, esercizio tra i più crudeli, e hanno rovinato le nostre libertà... Ma quando un giornalista si traveste da giudice, e un giudice da giornalista, allora la base delle nostre libertà è non già incrinata o messa in mora ma letteralmente distrutta...». Già, il rischio è proprio questo. Nel momento in cui l'avvocato Lariviere decide di stare al gioco, di utilizzare la stampa a proprio vantaggio cercando di rovesciare la situazione e condizionare pubblica opinione e giudici, ecco, in quello stesso momento diventa complice di quel sistema malato. Un corto circuito molto pericoloso che rischia ogni volta di delegittimare tutti gli attori di un processo: pubblici ministeri, giudici e avvocati. Chiudiamo con le parole di Francesca Scopelliti, ultima compagna di Enzo Tortora: «Il primo esempio di processo mediatico, studiato con una sceneggiatura e una regia degne di un kolossal, è senza dubbio la vicenda giudiziaria di Enzo Tortora, a cominciare dalla passerella con i ferri ai polsi per raggiungere il cellulare della polizia penitenziaria». Ecco, Lariviere ci chiede di non cadere nel tranello e diventare complici di questo orrore.