PHOTO
Il fascismo ci riguarda tutti da vicino. Come la più ottusa delle scimmie, il suo riflesso è potenzialmente presente dentro ciascuno di noi: ci basta scoprire che hanno fregato il deflettore dell’auto per sognare il ritorno di un sistema poliziesco degno di Pinochet e dei “voli della morte”, delle camere a gas, del razzismo. Ed è sbagliato sostenere che si tratti di una questione strumentale nel frangente delle elezioni.
Il fascismo è il selfie della nazione. Più che la sua “autobiografia”, parafrasando Piero Gobetti. Perché il fascismo ci riguarda tutti da vicino. Infatti, come la più ottusa delle scimmie, il suo riflesso è potenzialmente presente dentro ciascuno di noi ( sia detto senza offesa per King Kong, creatura che, come pochi, sapeva invece amare), ci basta scoprire che hanno fregato il deflettore dell’auto per sognare il ritorno di un sistema poliziesco degno di Pinochet e dei “voli della morte”, delle camere a gas, del razzismo. Senza scomodare ciò che spiegava Gramsci - «Il fascismo si è presentato come l’anti- partito, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano» - va detto però che questa riflessione sembra andare bene anche per il dispositivo mentale di altre compagini politiche recenti, come il M5S.
D’altronde, assodato che il fascismo è semplificazione, l’opinione che Mussolini aveva di Gobetti non sfigurerebbe in un tweet di CasaPound: “segaiolo incarognito”, prosa da mattinale di questura e fureria.
Proseguendo nel racconto della subcultura neofascista sarà bene aggiungere un ricordo personale: era il giorno dell’uscita nelle sale di Jesus Christ Superstar, 1973, e i fascisti stavano già lì a piantonare i cinema, accusando quel film di “blasfemia”. La fantasia di un musical a fronte di una ventina di figli di una piccola borghesia ottusa, i capelli tagliati dal “Kociss” delle caserme.
I neofascisti, in questo accompagnati dai convinti d’altre sigle politiche perfino democratiche, di fronte a ogni obiezione spostano sempre l’oggetto della discussione, come al baretto rionale. Se provi a far notare che non si può iscrivere Anne Frank al campionato calcistico italiano 2017- 2018, loro ribattono: «... e allora le foibe?». Oppure: «E allora il comunismo?». «E allora la bomba degli anarchici ai carabinieri di San Giovanni?». Prendiamo ad esempio la bandiera del secondo Reich esposta in una cameretta della caserma dei carabinieri a Firenze. In questo caso basterà leggere i molti commenti contro la ministra Pinotti, accusata di essere ignorante in fatto di vessilli imperiali germanici, per comprendere l’analfabetismo “civile” che contraddistingue sia la zona nera sia la “zona grigia” benevolente verso certe forme di violenza e autoritarismo endemiche. Lo stesso vale per l’appello alla privacy: «Sia denunciato piuttosto il giornalista che con la sua telecamera si è introdotto in un presidio militare!». Questo genere di mistificazione si nutre talvolta di care memorie familiari: ampi strati del Paese privo di sentire democratico, ancora adesso ringraziano il duce per avere loro donato un’uniforme da capo- fabbricato, e con quella, i nonni e le nonne al momento opportuno, forti di un decreto emesso dal regime nel 1938, avrebbero denunciato i condomini ebrei del secondo e quarto piano, è accaduto proprio in un civico di fronte a una delle mie residenze romane. Obiezione: «E allora i comunisti che nel mondo hanno fatto più vittime di tutti?».
Il neofascista, in cuor suo, con animo da modellista di stukas e V2, piange ancora adesso sulla sconfitta dell’esercito tedesco nella seconda guerra mondiale, l’assunto del lutto è facile a dirsi: con la disfatta del “Reich millenario”, ai loro occhi, avviene “la morte dell’Europa”. I neofascisti hanno ancora l’orgoglio identitario e sovranista, cioè «non vogliono stranieri in casa propria». Probabilmente, anche i nostri più ottusi cognati o generi o suocere o cugini, magari acquirenti furtivi di tallio per far fuori i consanguinei, gli appaiono comunque migliori dei “negri”.
La legittimazione dei neofascisti come una cosa che «non è che poi fosse tanto male, eh?» è avvenuta con Tangentopoli, a un certo punto, anche a sinistra, si è cominciato a dire che «saranno pure fascisti, però sono onesti, mica come i Dc e i socialisti di Craxi!». Ricordando, metti, che Leonardo Sciascia sempre citava una relazione di minoranza dei missini nella Commissione antimafia.
Mi direte che la legge Fiano non risolve il problema e si accanisce perfino sugli inoffensivi collezionisti di cimeli del Ventennio, vero, e infatti secondo alcuni il neofascismo insorgente andrebbe distrutto con le armi dell’ironia, così i più sarcastici, commentando l’irruzione di Forza Nuova sotto la redazione di Repubblica con bandiere e fumogeni hanno scritto: «Non sono fascisti, semmai appassionati della storica tradizione degli sbandieratori che difendono questa antica arte folkloristica strenuamente» . Bene, occorre ironia! Poi però ti guardi intorno e scopri che nulla o quasi è cambiato dal tempo in cui andavi da ragazzino al doposcuola - che sarà stato, il 1969? e il nipote, tuo coetaneo, del prof di aritmetica, già capomanipolo, diceva: «Perché i comunisti hanno ammazzato il duce, lo hanno appeso a testa in giù a piazzale Loreto, partigiani assassini, vergogna!». Allora provavi a spiegargli che il fascismo, restando in ambito familiare, aveva mandato tuo padre a combattere dichiarandolo volontario a sua insaputa ( accadde con la classe del 1921) così papà, a 19 anni, era finito in guerra. «Eh, ma queste sono cose vecchie! Il fascismo è finito una vita fa!». Impossibile spiegare a questa gente che, al di là del dato storico, il fascismo è un modus vivendi, la scimmia che si risveglia davanti al deflettore dell’auto rotto, davanti al gommone del migrante.
Diceva Pasolini: «Il fascismo è stato una banda di criminali al potere». Già, chi veste una divisa potrà mai esserlo? Obiettano quegli altri, ripensando ancora una volta al nonno con la camicia nera e i galloni da capofabbricato. A quel punto, provandole tutte, gli fai notare che la destra, metti, francese, è, sì, quella che mandava i suoi celerini, i “Crs”, a manganellare gli studenti nel maggio ’ 68 e ancor prima gli algerini, tuttavia era la stessa che anni prima aveva combattuto in prima fila i nazisti occupanti. Neppure l’argomento sulla propensione criminale propria dei fascisti, dalle vicende della banda della Magliana al caso di “Mafia capitale”, fino agli Spada a Ostia, neppure questo sembra smuoverli. Alla fine resta una domanda, che è poi la stessa che ci poniamo di fronte alle tiepide reazioni di sdegno da parte dell’opinione pubblica musulmana davanti alle stragi di “Charlie Hebdo” o del “Bataclan”, ma ci sarà una destra civile che voglia marcare la propria distanza assoluta dallo squadrismo mafioso neofascista? Se sì, ne attendiamo le parole. E Pietrangelo Buttafuoco, ospite di Myrta Merlino a La7, non dica che ciò che sta accadendo sono tutte “minchiate” ( sic), poiché definirle in questo modo è ingiusto e sa di mistificazione su gravi episodi che si ripetono in modo esponenziale, dalle aggressioni ai ragazzi romani da parte dei giovani neofascisti del Fronte della Gioventù che reputano di dover presidiare il territorio secondo un principio squadristico, all’immagine dei pacchi alimentari consegnati da Casa Pound a Ostia sotto le elezioni, tra negazione del principio della dignità al voto di scambio. «E allora perché non ci pensa il Pd, eh?». O ancora, tornando alla bandiera, ripetere, come se fossimo tutti sciocchi, che «quella non è una bandiera nazista e il ministro della Difesa non può essere digiuna di storia militare». Spalleggiato dai giornali del blocco leghista e berlusconiano che a loro volta minimizzano perché in cuor loro un certo modo di agire razzista dà calore e conforto a ogni ben pensante. Evidentemente, chi lo fa reputa il fascismo un bene rifugio di famiglia e tutto il resto un fatto secondario. Il fascismo è diventato il selfie della nazione. Chiedere a queste persone di elaborare il concetto di democrazia è evidentemente troppo. «E allora che dobbiamo dire del comunismo?».
Ps: Sostenere che si tratti soltanto una questione strumentale nel frangente delle elezioni è da analfabeta incapace di riflettere su un nodo storico e culturale che prescinde dalla contingenza e dai piccoli espedienti di una sinistra in difficoltà. E perfino il filosofo Slavoj Žižek sembra semplificare la questione per proprio narcisismo.