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Diego Armando Maradona alza la Coppa del Mondo
Di seguito alcuni passaggi del libro di Boris Sollazzo “Diegopolitik”, l’ultimo grande leader del ‘900”, che riportano retroscena inediti sulla squalifica per doping inflitta a Diego Armando Maradona ai Mondiali Usa ‘94
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Havelange e Blatter nel 1992, dopo la squalifica per cocaina, nel momento in cui era più fragile, si misero dalla sua parte. Lui si illuse che i nemici lo avessero finalmente capito, si fidò, soprattutto dell’astuto e mefistofelico Sepp, per disperazione e necessità. Di fronte al Napoli che voleva far valere un contratto in essere e riportarlo sul Golfo, intervennero a gamba tesa, contro ogni regola, e gli permisero di andare a giocare a Siviglia dietro il pagamento di un ridicolo obolo a Ferlaino e alla società azzurra (circa 7,5 miliardi di lire di cui il Siviglia pagò solo poco più della metà). Era un Maradona non all’altezza della sua fama, ma chiedete a Siviglia chi sia stato Diego per loro: la stagione fu troncata da un violento litigio con l’amico Carlos Bilardo, allora sulla panchina dei Rojiblancos, ma i tifosi andalusi ancora ne parlano con le lacrime e la luce negli occhi, ancora comprano la sua maglietta (...). Joao e Sepp passarono all’incasso subito (...). Come sempre, aiutandolo prima e fregandosene poi (...). Pretesero da Diego la presenza a Usa ’94, sfruttandone l’amore per l’Argentina e la voglia di rivalsa. Misero in pericolo la sua salute con cinico calcolo permettendogli trattamenti medici, fisici e di preparazione atletica massacranti.
(...) Ripercorrete i 10 mesi precedenti al mondiale e quell’esame delle urine post Argentina-Nigeria, il 25 giugno 1994 – ma guarda un po’ la positività sarà comunicata, con la squalifica, solo 5 giorni dopo, così da sfruttare l’immagine del Pibe almeno fino a fine girone – e troverete non poche similitudini con l’ultima squalifica di Alex Schwazer. Due che, strano a dirsi, hanno svelato a modo loro e con percorsi opposti, altari e altarini di federazioni internazionali e grandi sponsor e manifestazioni sportive planetarie. Al buon Alex e a Sandro Donati avevano fatto pervenire avvertimenti e minacce, almeno; a Diego invece lo invitarono pure con tutti gli onori e scongiurandolo di esserci. Negli ultimi due mesi si dice che il Pibe perse 12 chili. Chiedete come sia possibile farlo, a un dietologo o a un nutrizionista, con rimedi solo naturali. Non si può, ma non ti devi dopare per riuscirci. Sembra una sottigliezza, ma è un dettaglio dirimente.


(...). Diego Armando Maradona non si è dopato a Usa ’94. Lo sanno tutti, persino quel Sepp Blatter che continua a dichiararsene innamorato e alleato ma che ha puntato il dito verso di lui sin da subito (...). Perché, si chiedono in molti, però, sparare alla gallina dalle uova d’oro, sulla nazionale più spettacolare, sulla storia di un reborn che è archetipo narrativo ed esistenziale dell’ideale un tanto al chilo a stelle e strisce della terra delle opportunità e delle seconde occasioni? Per la politica, intanto (...). Nella moralità bacchettona statunitense, entra poi a gamba tesa la storia recente di un campione squalificato per uso di cocaina (...). Un ex cocainomane come eroe del più grande evento post guerra fredda non li aveva mai elettrizzati, ma la scarsissima fama del calcio tra i propri confini li convinse ad accettare la scommessa. Probabilmente bastava, ma il peccato originale era ben più grave.
Non lo ricorda quasi nessuno, ma alla base della partecipazione di D10S c’era un problema mediatico politico insanabile. La promessa pubblica di Diego di dedicare l’eventuale vittoria della rassegna a un caro amico. Suo, non degli Usa. Fidel Castro. Un’eventualità che all’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che pure 5 anni dopo proverà ad allentare l’embargo verso Cuba e che si dichiarò più volte favorevole a una distensione dei rapporti (in quel 1994, peraltro, annullò quello anacronistico e antistorico col Vietnam), suscitò notevoli malesseri e che era stata più volte, da Rothenberg (presidente della federcalcio Usa) e ancora di più da Kissinger (immancabile pedina centrale dei comitati organizzatori, praticamente un suo feudo), scongiurata nelle riunioni private con i vertici del calcio mondiale. La sola possibilità che si verificasse una tale eventualità seminava il panico ovunque a quelle latitudini, dalla Casa Bianca al Rose Bowl di Pasadena.
Diego Armando Maradona non poteva finire quel mondiale. E così ecco che il Ripped Fast, medicinale (da banco!) dietetico che in Argentina faceva parte della terapia di dimagrimento controllata del numero 10, scompare in tutta Boston. Anzi, come racconteranno degli amici (compreso Daniel Cerrini, culturista che si occupò di scolpire i muscoli del campione tra il 1993 e il 1994) che lo cercarono, era introvabile in tutto il Massachusetts. Ma, niente paura, c’è il Ripped Fuel. Daniel è un ragazzo il cui sangue passa più per i muscoli gonfi che per la testa, nel curriculum dice di essere fisioterapista e dietologo – “lo ebbi con me”, raccontò il Diez, “nel Newell’s Old Boys, mi rimise in forma velocemente con una dieta cinese e così ha fatto in quell’anno insieme: nell’amichevole contro la Croazia a Zagabria, poche settimane prima di Usa ’94, ero ancora sovrappeso” – e decide di comprare quello. Anche le pillole hanno la stessa forma, solo il colore era diverso. Lo mischia con erbe, come fa sempre, e non ritiene di dover comunicare le tre lettere di differenza a Federcalcio, commissione antidoping e soprattutto al suo assistito e al suo preparatore personale Fernando Signorini. Figuriamoci all’avvocato di Maradona, pure presente nel ritiro.
Le cinque sostanze che allora il capo belga della commissione medica della Fifa Michel D’Hooghe – sì, quello che accettò da un lobbista pro Russia 2018 un dipinto di pregio perché influisse con le sue conoscenze nella scelta della sede del mundial – definì come un cocktail da doping dell’età della pietra, erano tutte legate all’efedrina, che nel Ripped Fast è residuale ma nel Fuel raggiunge il 6% (...).