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L’ultima volta che ho visto Mark Zuckerberg era l’estate del 2017, alcuni mesi prima che scoppiasse lo scandalo di Cambrige Analytica. Ci incontrammo al Campus di Facebook a Menlo Park, in California, e da lì mi portò a casa sua, in un tranquillo e rigoglioso quartiere. Passammo insieme un’ora o due mentre sua figlia piccola ci girava intorno. Parlammo soprattutto di politica, un po’ di Facebook, e un po’ delle nostre famiglie. Quando le ombre crebbero lunghe, dovetti andar via.
Abbracciai sua moglie, Priscilla, e dissi addio a Mark. Da allora, la sua reputazione e quella di Facebook è crollata. Le scorrettezze dell’azienda sono su tutte le prime pagine. Sono passati 15 anni da quando fondammo insieme Facebook ad Harvard, e non lavoro con lui da almeno dieci, ma mi sento comunque responsabile. Mark è ancora la stessa persona di allora, una brava persona. Ma è proprio questo a rendere il suo potere incontrollato un problema.
La sua influenza è sbalorditiva, molto più di chiunque altro nel settore privato o nel governo. Controlla tre principali piattaforme di comunicazione – Facebook, Instagram e Whatsapp – che miliardi di persone usano tutti i giorni. Il comitato di Facebook è un organo più consultivo che di sorveglianza, perché Mark controlla circa il 60% delle quote. Stabilisce da solo le regole per distinguere un linguaggio violento da uno offensivo, e può scegliere di silenziare un avversario acquisendolo, bloccandolo o copiandolo. Preoccupa che l’ambizione lo abbia portato a sacrificare sicurezza e civiltà in cambio di un click. Sono deluso da me stesso per non aver capito che gli algoritmi avrebbero potuto cambiare la nostra cultura, influenzare le elezioni e rafforzare i leader nazionalisti. E temo che Mark si sia circondato di persone che rinforzano le sue idee piuttosto che combatterle. Il governo deve ritenerlo responsabile. La sanzione di 5 miliardi che ci si aspetta gli imponga l’agenzia federale per il controllo sul mercato, non sarà sufficiente. Il potere di Mark è senza precedenti, “non americano”. E’ tempo di rompere con Facebook.
L’America è stata costruita sull’idea che il potere non dovrebbe concentrarsi in una sola persona, perché siamo tutti vulnerabili. Proprio per questo i fondatori di Facebook hanno creato un sistema di controlli e contrappesi. Non c’era bisogno di prevedere il suo successo per comprendere la minaccia che una società gigantesca avrebbe posto alla democrazia. Jefferson e Madison erano voraci lettori di Adam Smith, secondo il quale i monopoli impediscono la competizione, che invece fa crescere l’economia. Negli ultimi 20 anni più del 75% delle industrie americane, dalle compagnie aree a quelle farmaceutiche, hanno creato concentrazioni sempre più grandi, e la grandezza media delle società pubbliche è triplicata. La stessa cosa sta accadendo ai social media e alla comunicazione digitale.
Dal momento che Facebook domina i social, non deve affrontare le responsabilità basate sul mercato. Questo vuol dire che ogni volta che Facebook commette degli errori, ripetiamo uno schema inesausto: prima l’indignazione, poi la delusione, infine la rassegnazione. Nel 2005, ero nel primo ufficio di Facebook in Emerson Street a Palo Alto, quando lessi la notizia che la News Corportation di Rupert Murdoch stava acquisendo il sito di social network Myspace per 580 milioni di dollari. Sentii un “wow” e la notizia rimbalzò silenziosamente attraverso la stanza. I miei occhi si spalancarono. 580 milioni di dollari, sul serio? Facebook stava gareggiando con Myspace, anche se indirettamente. I nostri utenti erano più coinvolti, con visualizzazioni giornaliere. Se Myspace valeva così tanto, Facebook avrebbe potuto valere almeno il doppio. Fu questa spinta alla “domininazione” che portò Mark ad acquisire negli anni dozzine di società, comprese Instagram e Whatsapp nel 2012 e nel 2014.
Facebook è passato da un progetto sviluppato dalla stanza di un dormitorio universitario a una società seria con tanto di avvocati e un dipartimento di risorse umane. Avevamo quasi 50 impiegati, e le loro famiglie facevano affidamento su Facebook per mettere il piatto in tavola. Mi resi conto che non sarebbe mai finita: più diventiamo grandi, più dovremo lavorare per continuare a crescere. Quasi un decennio dopo, Facebook ha guadagnato il prezzo del suo dominio. Vale mezzo trilione di dollari e comanda, secondo la mia stima, più dell’ 80% del fatturato mondiale dei social network. Questo spiega perché anche nell’anno peggiore per Facebook, il 2018, il suo guadagno per azioni crebbe del 40% rispetto all’anno precedente. Il suo monopolio è visibile anche nelle statistiche. Il 70 per cento degli americani adulti usa abitualmente i social media, e la maggior parte di essi è su Facebook. Quasi due terzi usa il sito principale, un terzo usa Instagram e un quinto Whatsapp. Meno di un terzo usa Pinterest, Linkedin o Snapchat. Quello che è nato come uno svago è diventato il modo principale in cui la gente di ogni età comunica online.
Anche se le persone volessero lasciare Facebook, non avrebbero alternative significative, come abbiamo visto con lo scandalo di Cambrige Analytica. Preoccupate per la loro privacy e con una fiducia sempre minore in Facebook, gli utenti di tutto il mondo hanno dato inizio a un movimento chiamato “cancella Facebook”. Una parte di essi ha cancellato il proprio account dal telefono, ma solo temporaneamente.
D’altronde, dove altro potrebbero andare? Il dominio di Facebook non è un caso fortuito. La strategia aziendale era battere ogni rivale alla luce del sole, e il governo tacitamente ha accettato.
L’errore più grande da parte della F. T. C è stato permettere che Facebook acquisisse Instagram e Whatsapp. Quando non è riuscito ad assorbire i suoi rivali, Facebook ha usato il proprio monopolio per abbatterli o copiare le loro tecnologie. Nel frattempo, l’innovazione è cresciuta negli ambiti non monopolizzati del mercato, come il trasporto pubblico, e la criptovaluta. Non biasimo Mark per la sua corsa alla dominazione. Ha dimostrato che nulla è più nefasto della frenetica e virtuosa attività di un imprenditore talentuoso.
Ma ha creato un leviatano che divora l’imprenditorialità a restringe la scelta del consumatore. Come abbiamo potuto permettere che accadesse? Il modello di business di Facebook è creato in modo da catturare quanta più attenzione possibile per incoraggiare le persone a creare e a condividere informazioni personali. Paghiamo Facebook con i nostri dati e la nostra attenzione, ed entrambe le cose non sono a buon mercato.