«L’ Italia ha questo di straordinario, rispetto alle altre nazioni. Non è nata dalla politica o dalla guerra. Non da un matrimonio dinastico, non da un trattato diplomatico. È nata dalla cultura e dalla bellezza. Dai libri e dagli affreschi. È nata da Dante e dai grandi scrittori venuti dopo di lui: Petrarca, che da piccolo ebbe la fortuna di incontrarlo; Boccaccio, che per primo definì la Commedia «Divina» e la lesse in pubblico. È nata da Giotto, che Dante cita nel Purgatorio, e che forse incontrò mentre affrescava nella Cappella degli Scrovegni il Giudizio universale, con i sommersi e i salvati. E l'Italia è nata dagli altri artisti che da Dante furono ispirati nel ritrarre il Bene e il Male, il Paradiso e l'Inferno, la grandezza dell'uomo e l'abisso della sua perversione».

A settecento anni dalla morte di Dante, il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo firma il romanzo della «Divina Commedia» – A riveder le stelle. Dante, il poeta che inventò l'Italia – in cui alla ricostruzione delle tappe che scandiscono il viaggio infernale si intrecciano echi e riferimenti alla storia posteriore, tracimanti nella più stretta attualità. Una pietra miliare della nostra letteratura, ma anche la nascita della nostra identità nazionale.

Come ha avuto origine questo romanzo della «Divina Commedia» ?

Avevo iniziato a scriverlo prima della pandemia ma la maggior parte del lavoro l'ho svolto durante il lockdown di marzo- aprile, con una partecipazione emotiva molto intensa verso quanto stava accadendo nel Paese quando ci siamo tutti calati nel nostro inferno personale. Dante racconta proprio questa discesa nel dolore, seguita dal ridestarsi di un ideale di riscatto e rinascita. Sentivo di occuparmi di una materia eterna che, tuttavia trovavo continui agganci con l'attualità, il presente funestato dalla pandemia, ma anche l'identità italiana. Il libro è anche una ricostruzione dell'identità nazionale, attraverso i rimandi a quanto accaduto nei luoghi danteschi a cavallo dei secoli successivi e anche ai suoi personaggi, vissuti poi di vita propria. Francesca da Rimini, ad esempio, non è mai morta ma ha ispirato decine di tragedie, poesie, romanzi, quadri, canzoni – i versi «Amor ch'a nulla amato amar perdona», ad esempio, ha trovato posto nelle canzoni di Venditti e Jovanotti. Se dovessi nominare una qualità di Dante, questa sarebbe l'eterna giovinezza della sua opera.

La ricchezza della Commedia risiede anche nelle sue molteplici interpretazioni, nei possibili percorsi che disvela...

Il viaggio di Dante è sia ultraterreno sia rivolto verso i confini della nostra interiorità. A un certo punto, nel volume cito una poesia di Pessoa che recita «in ogni angolo della mia anima c'è un altare a un dio differente», e, poco prima, «mi sono moltiplicato per sentirmi». Anche Dante fa lo stesso: racconta l'uomo in tutte le sue sfumature, anche le più terribili. Permane l'idea di calarsi nel mistero del male. Il diavolo può essere raffigurato in vari modi: spaventoso – come quello de L'esorcista –, affascinante – come Mefistofele in

Faust – o grottesco. I diavoli di Dante sono maldestri, non fanno paura: ciò che incute paura è l'uomo, il male dentro di noi, l'inferno che ci abita.

In che modo la Storia si è appropriata della figura di Dante?

L'idea che l'Italia nasca con Dante c'è sempre stata. Gli italiani, dovendo cercare l'origine della propria identità, hanno sempre guardato al poeta, in primo luogo per quanto concerne la lingua. Per tanti anni gli ebrei hanno parlato la lingua dei Paesi dove vivevano per poi, una volta tornati nella Terra promessa, ricominciare a parlare in ebraico, la lingua della Bibbia. Analogamente, anche noi parliamo la lingua di un libro, la «Divina Commedia». Per Dante l'Italia non era ancora uno Stato – all'epoca la forma di governo era l'impero –, ma un'idea, un sistema di valori e di bellezza, che coniugava classicità e cristianità, Virgilio e il Papa. Quando Trento e Trieste erano italiane di lingua e di cuore ma ancora sotto il giogo dell'Austria, Dante rappresentava senz'altro un simbolo. Ovunque si innalzavano statue a lui dedicate, gli venivano intitolate scuole italiane. Condivisero la galera il socialista Battisti e il cattolico De Gasperi quando chiesero un'università in lingua italiana, che l'Austria non era affatto intenzionata a concedere. Nel libro compio un excursus sugli eroi dell'Irredentismo come su quelli del Risorgimento, Ciro Menotti in primis, o della Resistenza. I nostri eroi non sono condottieri, che hanno assoggettato altri popoli, o conquistatori, spargitori di sangue altrui, ma poeti e patrioti che hanno saputo morire bene, senza piagnucolare, Passiamo ai giorni nostri. Lei scrive: «Riconosciamolo: non siamo molto cambiati. Ancora oggi gli italiani non credono nella politica e non credono nello Stato, perché faticano a concepire che una persona possa fare qualcosa nell'interesse di qualcuno che non sia sé stesso» senza maledire il proprio carnefice.

. Una condizione endemica dello spirito italiano?

Purtroppo sì. La democrazia rappresentativa è in crisi. Dopo uno Stato liberale in cui votavano in pochi, abbiamo avuto il suffragio universale maschile voluto da Giolitti poi subito la tragedia della Grande Guerra, l'affermazione del fascismo e la Seconda guerra mondiale. Si è finalmente arrivati al suffragio universale, la Prima repubblica è stata la Repubblica dei partiti. Oggi stiamo tornando al proporzionale ma i partiti non ci sono più. Un partito voleva dire popolo, iscritti, sezioni, dibattiti, giornali, cultura, formazione, esperienza amministrativa. Siamo allo sfacelo. Spuntano dal nulla personaggi come Giuseppe Conte una persona che nessuno sapeva chi fosse. L'altro fatto, perfettamente colto da Dante, è la divisione tra gli italiani. Lui dice, riferendosi proprio alle città italiane, che un popolo unito dallo stesso fossato, dalla stessa cerchia di mura, è roso dal germe della divisione: Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri. E scrive a proposito di Firenze – l'amatissima Firenze – che solo i mediocri fanno politica, i capi e i governi cambiano di continuo e una legge decisa a ottobre non arriva a metà novembre. Sembra proprio che parli dell'Italia di oggi.

Quali sono i valori espressi da Dante nella sua opera che sarebbe oggi necessario riscoprire?

Innanzitutto la bellezza. In Dante è molto presente la bellezza dei versi, dell'architettura, della natura. Preservare la bellezza non vuol dire soltanto restaurare i monumenti e mettere in sicurezza il territorio ma anche costruire in modo diverso, realizzare ambienti in cui gli uomini possano tornare a incontrarsi. Abbiamo costruito dei non- luoghi che hanno sostituito i luoghi tradizionali: chiese, teatri, piazze. La pandemia non ha fatto altro che accelerare la rarefazione dei rapporti umani. È una cosa molto grave, come molto grave è anche il declino del lavoro. Dante scrive che l'uomo trae il suo pane dalla natura, dall'arte e dal lavoro, e destina all'inferno gli usurai e tutti coloro che fanno soldi con i soldi. Oggi assistiamo alla separazione tra ricchezza e lavoro, ciò è immorale: il lavoro è inclusione, crea il senso di una comunità e Dante, mettendoci in guardia dai guadagni improvvisi, aveva intuito tutto.

L’IDENTITÀ NAZIONALE

«PER IL POETA E INTELLETTUALE FIORENTINOL'ITALIA NON ERA ANCORA UNO STATO – ALL'EPOCA LA FORMA DI GOVERNO ERA L'IMPERO – MA UN'IDEA, UN SISTEMA DI VALORI E DI BELLEZZA CONDIVISI, UN’IDEA CHE CONIUGAVA CLASSICITÀ E CRISTIANITÀ, LUI HA FONDATO LA NOSTRA LINGUA MA ANCHE LA NOSTRA IDENTITÀ NAZIONALE»