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Oggi le dichiarazioni del giudice Guido Salvini, secondo cui i carabinieri di Milano erano stati a più riprese avvertiti dei rischi che correva il giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi, ucciso a 33 anni il 28 maggio 1980 dalla Brigata XXVIII marzo, una neonata formazione terrorista rossa, sono una curiosità storica, la prova di una sottovalutazione costata la vita a un giovane e molto brillante cronista. C’è stato un tempo in cui avrebbero fatto tremare dalle fondamenta tutti i palazzi del potere. Proprio intorno all’omicidio Tobagi si accese, negli anni ‘ 80, il primo grande scontro tra il Psi di Bettino Craxi e la procura di Milano, con tanto di intervento dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Il 5 dicembre 1985, nelle sue vesti di presidente del Csm, Cossiga vietò al Csm di discutere una mozione di censura contro l’allora presidente del Consiglio Craxi in seguito ai suoi attacchi rivolti alla procura di Milano per il caso Tobagi. Cossiga minacciò di recarsi di persona alla riunione del plenum del Csm per impedire il dibattito e fece schierare un battaglione di carabinieri in assetto antisommossa nei pressi di palazzo dei Marescialli, la sede del Consiglio superiore della magistratura, avvertendo che, se i togati avessero occupato l’aula per proseguire il dibattito sulla mozione contro Craxi, avrebbe ordinato di intervenire e sgombrare con la forza il palazzo. Per protesta tutti i 20 membri togati del Csm rassegnarono le dimissioni. Nella redazione del Corrierone Walter Tobagi, cattolico, socialista e craxiano, autore di libri articoli e inchieste sul terrorismo, non era molto amato. Faceva parte del comitato di redazione, era presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, ed era ai ferri corti con la stragrande maggioranza del sindacato, vicino alle posizioni del Pci o della sinistra Dc. Nelle assemblee delle Federazioni regionale e provinciale della stampa gli attacchi du- rissimi contro ' il craxiano' erano pane quotidiano. Sulle bacheche di via Solferino campeggiavano scritte come ' Walter Tobagi= Craxi driver'.
Gli assassini di Tobagi venivano da un ambiente molto vicino a quello del Corriere. La Brigata XVIII marzo ( data in cui, in quello stesso 1980, i Nuclei del generale Dalla Chiesa avevano ucciso quattro brigatisti in via Fracchia, a Genova) era composta da ragazzi delle Milano bene: Marco Barbone, il leader che tirò il colpo di grazia a Tobagi, era figlio di uno dei dirigenti della Sansoni. Paolo Morandini era figlio del celebre critico cinematografico Morando. Caterina Rosenzewig, la fidanzata di Barbone ( assolta per l’omicidio Tobagi), veniva da una famiglia ricca e amica dei Tobagi. Prima di uccidere Tobagi il gruppo aveva ferito alle gambe un altro giornalista, Guido Passalacqua. Avevano deciso di alzare il tiro in vista di un arruolamento nelle Brigate Rosse con ruoli dirigenti. Franco Tommei, uno dei principali esponenti dell’Autonomia milanese, che li conosceva bene, li definiva beffardo come sempre: «Yuppies del terro- rismo». Scelsero Tobagi proprio perché, come disse barbone al processo, «era l’uomo di Craxi all’interno del Corriere e il Psi era secondo noi la forza politica che poteva ricompattare il potere». I killer di Tobagi vennero arrestati nel settembre 1980. Si pentirono praticamente prima ancora di ritrovarsi con le manette serrate ai polsi e uscirono di galera già nel 1983.
Craxi non credeva alla versione dei terroristi, fatta propria anche dall’accusa, che negavano l’esistenza di mandanti. Era convinto che l’attentato fosse stato organizzato per colpire il Psi, e non dagli esecutori materiali. Basava la sua accusa sul volantino di rivendicazione, scritto in uno stile e con una punteggiatura inusuali per i testi diramati all’epoca dalle formazioni armate e insisteva sull’esistenza di un’informativa dei carabinieri che avvertiva di un possibile attentato contro la Questura. Lo stesso volantino, inoltre, conteneva un’informazione di cui difficilmente i giovani terroristi potevano essere in possesso: un brevissimo passaggio di Tobagi nel Cdr del Corsera ( diverso da quello del Corriere della Sera) già nel 1974. La procura negò di essere mai venuta a conoscenza dell’informativa. Il ministro degli Interni Scalfaro confermò che almeno i carabinieri ne erano invece certamente in possesso.
Un altro elemento di frizione tra il partito del Garofano e la procura di Milano riguardava la ' spontaneità' della confessione degli assassini. Secondo la Procura avevano deciso di confessare quando non erano ancora neppure sospettati, tanto che lo stesso Dalla Chiesa si era mostrato ' sorpreso'. Proprio la confessione spontanea spiegava secondo la procura la mitezza delle condanne. Il Psi riteneva invece che il commando avesse deciso di parlare solo dopo essersi visto scoperto di fatto ottenendo una rapida scarcerazione in cambio della disponibilità a collaborare contro l’Autonomia milanese, dalla quale provenivano i ragazzi della XXVIII marzo. Seguì una raffica di accuse e di querele da parte della procura e in particolare del sostituto Armando Spataro che portarono al braccio di ferro del dicembre 1985 tra Quirinale e l’organo di autogoverno della magistratura, probabilmente il più esasperato conflitto istituzionale nella storia della Repubblica.
Salvini sembra oggi dare ragione a Craxi. Sostiene infatti che le indagini sulla XXVIII marzo erano state avviate da tempo e cita un «documento in cui si parla di un appostamento sotto casa di Barbone già il 4 giugno, appena sei giorni dopo il fatto». Il giudice difende quindi i giornalisti Renzo Magosso e Umberto Brindani, condannati nel 2004 per diffamazione dopo aver denunciato su Gente sia le informative disattese dai carabinieri sia una perquisizione in casa Barbone, in via Solferino, vicinissima alla redazione del Corriere, avvenuta già due giorni dopo il delitto.
Craxi non dimenticò mai il caso Tobagi. Qualche storico redattore del Corrierone ricorda ancora una sua visita nella redazione di via Solferino nella seconda metà degli anni 80. ' Bokassa' gelò tutti quando, dopo essersi informato con finta disinvoltura sulle macchine da scrivere in uso nella redazione commentò: «E’ proprio con una macchina come queste che è stata scritta la rivendicazione dell’omicidio Tobagi, vero?.
In anni più recenti le accuse più feroci contro l’ex leader del Psi sono arrivate dalla figlia di Tobagi, Benedetta, che nel suo libro del 2009, “Come mi batte il cuore”, aveva accusato il leader socialista di aver speculato sulla morte de padre e di aver nascosto una ' pista P2' nella ricerca dei mandanti per l’omicidio del giornalista. Risposta durissima di Stefania Craxi che si disse «offesa» dalle «farneticazioni e allucinazioni» di Benedetta Tobagi, che all’epoca dell’omicidio del padre aveva sei anni. La Pista P2 in effetti è del tutto incredibile ma anche il teorema di Craxi sul complotto contro il Psi non è più realistico. Ma per il resto, dunque sulla sottovalutazione degli avvertimenti e sulla ' spontaneità' delle confessioni degli assassini di Tobagi, tutti i torti Bokassa probabilmente non li aveva.