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L’intervento del ministro Orlando alla direzione del Pd e la lunga intervista al Dubbio del filosofo Biagio De Giovanni hanno costituito la prima radicale rimessa in questione di quel giustizialismo che nel Pds– Ds e poi nel Pd ha costituito una fondamentale scelta ideologica di larga parte dei post– comunisti (con l’eccezione dei miglioristi come Chiaromonte, Napolitano, Umberto Ranieri) e una altrettanto marcata scelta politica determinata da un misto di strategia e di tattica di cui poi vedremo le ragioni di fondo.
Orlando ha denunciato il fatto che per anni il giustizialismo esercitato contro Berlusconi ha sostituito le scelte culturali e politiche di stampo realmente riformista che invece non sono state fatte. Biagio De Giovanni ha denunciato il fatto che sul giustizialismo della sinistra si sono innestati due fenomeni devastanti: “la politica distrutta dall’invadenza della magistratura” e un’antipolitica che si innesta su questo ruolo prevaricante di un potere dello stato e che attraverso di esso sta distruggendo il confronto politico e culturale. De Giovanni ha anche rilevato, a proposito dell’attività più propriamente politica del ministro Orlando, che egli ha realizzato positivi interventi sulle carceri ma non è riuscito neanche a sfiorare i due temi centrali della riforma della giustizia, la separazione delle carriere e il superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Per completare questa rassegna preliminare citiamo anche l’intervista di Giorgio Napolitano sul Messaggero a proposito del confronto sul referendum: Napolitano ha rilevato che la forza dell’antipolitica è diventata tale che nell’ultima fase della campagna referendaria il Presidente Renzi ha pensato bene di riuscire a smontare il vantaggio del No dando al Sì il valore della lotta alla casta: fatto dal presidente del Consiglio in carica questo appello è risultato controproducente e anche un po’ grottesco.
Ciò detto, però, dobbiamo per forza fare un passo indietro. Il finanziamento organicamente irregolare dei partiti parte dagli anni 40 e ha per nome e cognome una serie di padri della patria ( da Alcide de Gasperi, a Palmiro Togliatti a Pietro Nenni).
Negli anni ’ 40–’ 50 la Dc era finanziata dalla Confindustria, dalla Cia, da una rete di imprenditori privati. Poi, con l’avvento di Fanfani, il finanziamento della Dc fu sostenuto anche dalle aziende a partecipazione statale. A sua volta il Pci era finanziato dal Pcus, dalle cooperative rosse, da una rete di imprenditori amici, specie nelle regioni rosse. Prima di Craxi, il Psi dipendeva per il suo finanziamento dal principale alleato: nella fase frontista esso si basò sul finanziamento sovietico e sulle cooperative rosse, nella fase del centro– sinistra sulle partecipazioni statali.
Tutto ciò si aggregò in un sistema organico, quello di Tangentopoli. A fondare quel sistema dal lato imprenditoriale furono altri due padri della patria, cioè Vittorio Valletta ed Enrico Mattei. Mattei considerava i partiti e le loro correnti dei “taxi” ( tant’è che finanziava abbondantemente anche l’Msi, un partito che poi anch’esso, come del resto il Pci– Pds, si è rifatto la verginità), e poi fondò in modo esplicito con Albertino Marcora quella sinistra di base ( corrente democristiana) che ha esercitato una grande influenza nella Dc e nell’intero sistema politico.
Che il Pci affondasse le sue risorse in un finanziamento irregolare dalle molteplici fonti ( altro che feste dell’Unità) è messo in evidenza dal verbale di alcune riunioni svoltesi in Via delle Botteghe Oscure citato a pagina 495– 498 nel libro di Guido Crainz “Il paese mancato”. Giorgio Amendola nella direzione del 1 febbraio 1973 disse: “quando me ne sono occupato io “le entrate straordinarie” ( eufemismo ndr) erano del 30% ora siamo al 60%”. A sua volta Elio Quercioli disse: “molte entrate straordinarie derivano da attività malsane. Nelle amministrazioni pubbliche prendiamo soldi per far passare certe cose. In questi passaggi qualcuno resta con le mani sporche e qualche elemento di degenerazione finisce per toccare anche il nostro partito”. E nella riunione dell’ 1 e del 2 marzo 1974 il Pci diede il sostegno alla legge sul finanziamento pubblico con l’esplicita motivazione di ridurre il finanziamento sovietico e le “entrate straordinarie derivanti da attività malsane”. Armando Cossutta disse: “negli ultimi anni si è creato in molte federazioni un sistema per introitare fondi che ci deve preoccupare. C’è un inquinamento nel rapporto con le nostre amministrazioni pubbliche nel quale c’è di mezzo l’organizzazione del partito e poi ci stanno dei singoli che fanno anche il loro interesse personale”.
Quando, poi, decollò la politica di unità nazionale, il Pci entrò anche nel “sistema degli appalti pubblici” che aveva come sede di compensazione l’Italstat: in quella sede c’era un meccanismo che assicurava la rotazione nell’assegnazione degli appalti che riguardava tutte le grandi imprese di costruzione pubbliche e private: alle cooperative rosse era garantita una quota che oscillava dal 20 al 30%.
A sua volta Bettino Craxi per rendere reale fino in fondo l’autonomia del Psi dalla Dc e dal Pci, prese direttamente e tramite Vincenzo Balzamo rapporti con il mondo imprenditoriale: una mossa i cui rischi furono evidenti poi.
Avendo però alle spalle quella realtà del suo partito, Berlinguer fece la famosa intervista sulla questione morale nella quale presentava il Pci come il partito delle “Mani Pulite”: la mistificazione è evidente.
In sostanza Tangentopoli era un sistema che si fondava su un organico rapporto collusivo fra tutte le grandi imprese pubbliche e private senza eccezione alcuna ( quindi compresa la Cir di De Benedetti, come risultava dalle sue stesse ammissioni processuali) e da tutti i partiti dell’arco costituzionale senza eccezione alcuna ( quindi compreso il Pci; l’Msi, a sua volta, o aveva diretti rapporti con le imprese, vedi l’Eni, o, a livello locale era “tacitato” dagli altri partiti).
Questo sistema era fondato sulle grandi imprese, sui partiti, sulle correnti dei partiti. In esso, dalla seconda metà degli anni ’ 80 in poi, emersero degenerazioni personali. Comunque, con l’adesione dell’Italia al trattato di Maastricht che costrinse “a calci” il capitalismo italiano a fare i conti con il mercato e la libera concorrenza ( cosa che fino ad allora non aveva fatto) il sistema di Tangentopoli diventò chiaramente antieconomico ( lo era anche prima ma esistevano meccanismi di compensazione quali il debito pubblico e specialmente le svalutazioni competitive, in genere decise di comune intesa fra la Fiat e Banca d’Italia) e doveva essere superato.
Ora la via maestra di quel superamento– eliminazione avrebbe dovuto essere un’operazione consociativa, con un’intesa generale fra le forze poli- tiche, quelle imprenditoriali, quelle giudiziarie, e magari concluso con un’amnistia. Le cose non andarono affatto così. L’ultima amnistia fu quella del 1989 che servì a salvare il Pci dalle conseguenze penali del finanziamento irregolare di derivazione sovietica. Negli anni ’ 90 i partiti, specie la Dc, il Psi, i partiti laici, ma per altro verso anche il Pci ( che con il cambio del nome in Pds e il “superamento” del comunismo perse circa metà del suo elettorato) avevano perso vivacità culturale e consenso. A quel punto, invece, si affermò nella magistratura la corrente più aggressiva e più ideologica, cioè Md, che teorizzava il ruolo sostanzialmente rivoluzionario del magistrato che, superando un’asettica e burocratica terzietà, avrebbe dovuto rimettere in questione gli equilibri economici e quelli politici. Questa teorizzazione trovò nel pool di Milano di Mani Pulite chi la cavalcò sul piano dell’esercizio della giurisdizione mettendo in essere un’operazione del tutto unilaterale, fondata su due pesi e due misure: nel caso della Dc, Mani Pulite arrivò addirittura a distinguere fra le correnti di centro– destra di quel partito che furono sostanzialmente distrutte ( chi non ricorda Forlani al processo Enimont, e poi, fuori da Milano, Andreotti alla sbarra per l’assassinio di Pecorelli e per il concorso con la mafia e Antonio Gava e Paolo Cirino Pomicino in carcere?) e invece la sinistra Dc, e sull’altro versante, il Pci– Pds, furono interamente salvati. A loro volta il Psi, il Psdi, il Pli, il Pri furono rasi al suolo.
Quando l’unilateralità dell’operazione non era ancora chiara e sembrava che avrebbe colpito tutto e tutti, Achille Occhetto si precipitò alla Bolo- gnina a “chiedere scusa agli italiani” perché conosceva bene il retroterra finanziario del Pci– Pds. Quella di Mani Pulite fu comunque un’operazione rivoluzionario– eversiva unica in Europa: fu l’unico caso nel quale ben 5 partiti di governo furono distrutti prima dai magistrati che dagli elettori. Lo strumento principale di questa operazione era la cosiddetta “sentenza anticipata”: se un dirigente politico viene raggiunto da un avviso di garanzia, enfatizzato da giornali e da televisioni, a quel punto egli perde totalmente il suo consenso elettorale. Se la stessa sentenza colpisce altri mille dirigenti di quel partito, è il partito nel suo complesso ad essere azzerato. Se poi, magari dopo cinque o sette anni, interviene la vera sentenza processuale ed è di assoluzione, i suoi effetti politici sono nulli.
In seguito a Mani Pulite, dal ’ 92–’ 94 in poi, i rapporti fra politica e magistratura sono stati totalmente rovesciati. A “comandare” è chiaramente la seconda. A sancire quel cambio di equilibrio fu anche nel 1993 l’eliminazione di quell’immunità parlamentare che fu ideata dai costituenti proprio per bilanciare la totale autonomia di cui gode la magistratura italiana diversamente da altri ordinamenti.
In un primo tempo il Pds fu l’utilizzatore passivo di quella unilateralità dell’azione della magistratura. Poi ne diventò il fruitore attivo.
La storia, però, è paradossale. Il Pds di Occhetto, D’Alema, Veltroni credeva che grazie a Mani Pulite sarebbe arrivato sicuramente al potere. Di conseguenza la discesa in campo di Berlusconi fu un’amara sorpresa per il gruppo dirigente del Pds.
Berlusconi da parte sua fece leva anche sul “nuovismo”, sul populismo e sull’antipolitica che Mani Pulite aveva suscitato.
A quel punto, però, il giustizialismo fu esercitato dal Pds ( e da tutto il circolo mediatico costituito da Repubblica, il Tg3, Samarcanda, poi Travaglio e Il Fatto) contro Berlusconi provocando una “guerra civile fredda” durata 20 anni. Anche in questo secondo caso, però, c’è stata un’altra amara sorpresa: quando Berlusconi è stato messo fuori gioco attraverso un’interpretazione retroattiva di una legge già di per sé assolutamente iniqua, qual è la Severino, il Pd di Bersani si è trovato di fronte ad un altro scherzo della storia: Forza Italia era stata messa fuori gioco, il centro– destra era in crisi ma a quel punto, a cavalcare fino in fondo la tigre e l’onda del giustizialismo e dell’antipolitica, è nata una forza integralmente protestataria, ultra– giustizialista e gestita con meccanismi di stampo autoritario da un comico– demagogo e dalla società di comunicazione della Casaleggio associati.
Bisogna guardare anche all’altra faccia della medaglia: mentre a suo tempo Tangentopoli era un sistema fondato su grandi imprese e sui partiti in quanto tali, da dopo il ’ 92–’ 94 è avvenuta la parcellizzazione della corruzione, che si è fondata su una miriade di mini– catene o reti composte da singoli imprenditori, singoli alti burocrati, singoli politici, in qualche caso anche con singoli magistrati. Questa corruzione capillare è ciò che è avvenuto dopo il ’ 92–‘ 94 enfatizzando a dismisura il ruolo della magistratura con effetti sconvolgenti.
Oggi anche gli apprendisti stregoni sono vittime di sé stessi e cioè anche i grillini sono ormai dominati dall’incubo dell’avviso di garanzia che per loro, è ancor più distruttivo perché finora, quando esso riguardava gli “altri” equivaleva ad una sentenza di terzo grado. Per concludere: le riflessioni del ministro Orlando e di Biagio De Giovanni costituiscono certamente un fatto positivo: non vorrei, però, che essi arrivino troppo tardi, quando già Davigo, non a caso eletto “a furor di popolo” presidente dell’Anm, si comporta come una sorta di super– commissario ad acta nei confronti del fallimento delle istituzioni della Repubblica, del Parlamento e dei parlamentari in primis, soggetti, questi ultimi, considerati dei delinquenti potenziali, da trattare nei dovuti modi.