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Ciontoli, i mali, l'odio. Chissà se il ministro Matteo Salvini avrà letto anche solo uno stralcio della sentenza di appello sul caso Vannini prima di scrivere il suo tweet acchiappa like: “La vita di un ragazzo, ucciso in maniera infame, vale solo cinque anni di galera? Questa sarebbe “giustizia”? Che schifo. Verità per Marco Vannini”? Forse no, e però saremmo felici di essere smentiti. L’aspetto più significativo è che dal ministero della Giustizia arriva conferma che il guardasigilli Alfonso Bonafede ha esercitato l'azione disciplinare nei confronti del dottor Andrea Calabria per “violazione dei doveri di correttezza, diligenza, autocontrollo, equilibrio e rispetto della dignità della persona avendo tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti delle persone presenti in udienza e delle parti processuali ed in particolare nei confronti dei parenti di Vannini”. Ora il caso è nelle mani della sezione disciplinare del Csm.
La vicenda in questione è più che nota: il dottor Calabria è il magistrato che ha letto la sentenza di appello nei confronti di Antonio Ciontoli condannato in secondo grado, per la tragica morte di Marco Vannini, a cinque anni di reclusione per omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente. Durante la lettura del dispositivo era scoppiato il caos in aula: forti grida di protesta dei familiari di Vannini nei confronti della Corte, mentre i parenti e gli amici, prima di essere allontanati dall'aula, avevano inveito contro la sentenza. Il giudice Calabria aveva fatto presente che con quella reazione si stava interrompendo un pubblico servizio e aveva aggiunto “se volete farvi una passeggiata a Perugia ditelo”. Ma facciamo un passo indietro.
Martedì sera è andata in onda la seconda puntata di Storie Maledette, durante la quale Franca Leosini ha intervistato Antonio Ciontoli. Un caso di cronaca giudiziaria che ha mostrato tutte le distorsioni di un processo mediatico parallelo e una escalation dell’odio sui social, come vi abbiamo raccontato lo scorso settembre nella prima esclusiva intervista che il signor Ciontoli aveva rilasciato proprio al Dubbio. Franca Leosini, durante le due puntate, con equilibrio e fermezza, senza concedere sconti sulle gravi responsabilità del Ciontoli, ha messo a nudo tutta la fragilità di un uomo che si è auto- condannato ad un ergastolo morale per aver provocato la morte del giovane fidanzato di sua figlia Martina, trascinando in un dolore senza fine i genitori di Marco ma anche la sua famiglia.
Di parere opposto la famiglia Vannini che parla tramite l’avvocato di parte civile Celestino Gnazi che al Dubbio commenta: “Siamo esterrefatti per quanto visto. In quella trasmissione non si è fatto altro che sposare integralmente la posizione difensiva di Ciontoli, addirittura suggerendo altre tesi difensive. Riteniamo che sia inammissibile da parte della Leosini parlare di ricostruzione veritiera, oltretutto dando lezioni di giornalismo agli altri, quando si sposa unicamente una tesi, credendo e prendendo per oro colato tutto quello che diceva Antonio Ciontoli. Adesso capiamo il motivo per cui i genitori di Marco non sono stati nemmeno avvisati della messa in onda”. Durante la puntata, Ciontoli ha chiesto nuovamente perdono per tutti gli «errori- orrori», come lui stesso ha detto, commessi quella tragica sera ma la madre del ragazzo, Marina, lapidaria aveva ribattuto: «Non avrà mai il nostro perdono. Mai».
Ciò che rimane incomprensibile e massimamente stigmatizzabile è l’odio dell’opinione pubblica, spesso alimentato da una mala informazione. Infatti, mentre la logica sottesa al processo penale è di tipo accusatorio, quella caratterizzante il processo mediatico appare più simile al modello inquisitorio. Da un tipo di giustizia che molti studiosi definiscono ‘ pop’, a cui non interessa il reale dei fatti ma solo sangue e manette, nascono i mostri. E sono mostri per la vulgata Antonio Ciontoli e tutta la sua famiglia, che dopo la puntata di Rai3 hanno subìto nuovamente altre minacce sui social del tipo: “Dovrebbero rinchiudervi tutti in galera con i vostri avvocati e buttare la chiave”; “Meritereste le pene dell’inferno”, “Ciontoli va sciolto nell’acido”. Oltre alle minacce verbali Ciontoli ha ricevuto un proiettile da un anonimo - così come i suoi avvocati Andrea Miroli e Pietro Messina - e ignoti hanno scritto ‘ Assassini’ davanti la sua casa; abitazione che ha dovuto lasciare tempo fa per appoggiarsi lontano da Roma da parenti e amici.
Abbiamo contattato il signor Ciontoli e ha condiviso con noi questo pensiero: “Io in questa maledettissima storia ho distrutto la mia vita, la mia personalità, maltrattato e bistrattato la mia dignità. Viste le reazioni e le conseguenze, molti saranno contenti, pur se non ancora pienamente soddisfatti, aspettando e sperando con vero fermento la mia fine, chissà, il mio suicidio. Ho parlato all’indomani di anni di vita nel silenzio, nella paura di poter essere additato per strada, nella paura che la mia famiglia e i miei figli, Viola e mia moglie, potessero essere aggrediti e nella consapevolezza che a causa mia la loro giovane vita non è più la stessa e non lo sarà mai più. Andrò avanti affinché prima o poi arrivi da parte di Marina e Valerio anche un piccolo segnale e ché possano provare per me misericordia e perdono”. Il 7 febbraio 2020 ci sarà la decisione della Cassazione ma intanto la Procura di Civitavecchia ha aperto un secondo fascicolo di indagine a carico di Roberto Izzo, ex comandante della stazione di Ladispoli, che, secondo le dichiarazioni del commerciante Davide Vannicola, non avrebbe rilevato agli inquirenti che a sparare quella sera fu Federico, come gli avrebbe rivelato lo stesso Antonio Ciontoli.