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Cinquanta anni fa il Movimento di protesta negli Usa si preparava a quello che avrebbe dovuto essere il principale appuntamento dell’intero anno: le manifestazioni organizzate a Chicago contemporaneamente alla Convention democratica. L’idea era quella di una specie di festival con musica, cortei e assemblee pubbliche in tutta la città per tutta la durata della Convention. Finì in un’orgia di violenza poliziesca che turbò l’animo degli americani liberal ma spinse la maggioranza silenziosa verso Nixon. Negli states è ancora oggi un luogo comune diffuso quello secondo cui l’America scelse Nixon come presidente la notte del 28 agosto, la notte dei pestaggi indiscriminati, dei passanti bastonati di brutta a casaccio, delle strade e delle stesse sale dell’Hotel Hilton, dove si svolgeva la convention invase dai gas. A Chicago nel 1968 successe quello che si sarebbe ripetuto oltre trent’anni dopo in Italia, a Genova.
A lanciare l’appello per le giornate di Chicago erano stati gli hippies, definizione derivata dal nome del “partito” che avevano fondato, lo Youth Internationl Party, ma che in realtà rappresentava un gioco di parole: gli hippies erano e si presentavano come particolarmente politicizzati, militanti e rivoluzionari. I leader, Jerry Rubin e Abbie Hoffman, erano già famosi, star del movimento che era cresciuto soprattutto nel 1967, l’anno degli hippies e della Summer of Love. Aderì subito il Mobe, un cartello che riuniva circa cinquecento gruppi attivi contro la guerra in Vietnam. Si aggiunse l’SDS, Students for a Democratic Society, nei campus. Gli hippies iniziarono a preparare l’appuntamento mesi prima con due manifestazioni- happening alla Grand Central Station di New York e a Central Park e puntando soprattutto sul teatro di strada. Rubin e Hoffman decisero di amplificare l’evento minacciando sfracelli: dalla promessa di forzare i posti di blocco a quella di inondare di Lsd le condutture d’acqua. Più tradizionalista, il Mobe organizzò raduni e workshop in una decina di parchi concentrando le iniziative soprattutto intorno ai ghetti di Chicago, nei quali a rivolta dell’aprile 1968, dopo l’uccisione di Martin Luther King, era stata violentissima.
Il sindaco democratico Richard J. Daley scelse la linea dura. Negò il permesso per raduni e manifestazioni, impose il coprifuoco intorno ai parchi dove erano accampati i dimostranti a partire dalle 11 della sera, prolungò i turni della polizia, schierò 23mila tra poliziotti per fronteggiare i circa 10mila manifestanti. L’affluenza fu in realtà inferiore alle attese. Sin dalla vigilia era evidente che sarebbe finita male. Tra le band che avrebbero dovuto suonare nel festival se ne presentò una sola, la più militante di tutta l’America, gli MC5 di Detroit.
In realtà comincio malissimo: il 22 agosto all’alba un ragazzino di 17 anni, Dean Johnson, fu fermato con l’accusa di aver violato il coprifuoco. Tirò fuori una pistola, atndo alla versione della polizia, e finì ammazzato. Il giorno dopo gli hippies presentarono alla stampa il loro candidato alla presidenza, il maiale Pigasus. Rubin e il cantante folk Phil Ochs furono arrestati mentre illustravano le doti del grugnente candidato, che diventò di conseguenza subito famoso in tutta la nazione. Il 24 agosto i manifestanti forzarono per la prima volta il blocco intorno ai parchi, con un corteo guidato dal poeta Allen Ginsberg che uscì dal Lincoln park esattamente alle 23, l’ora in cui entrava in vigore il coprifuoco. Gli scontri però furono ancora contenuti.
Andò peggio domenica 25, quando la polizia ammutolì gli altoparlanti durante il concerto degli MC5 al Lincoln. Tensione e scaramucce durarono tutto il pomeriggio, finché la polizia non decise di sgombrare il parco poco prima della mezzanotte. Gli scontri dilagarono così nelle strade e proseguirono tutta la notte e nei due giorni successivi. Gli episodi più gravi si verificarono mercoledì 28 agosto. Nel corso di una raduno a Grant Park un giovane ammainò la bandiera americana, provocando l’immediato e durissimo intervento della polizia. Il leader dell’SDS Tom Hayden guidò un corteo fuori dal parco, in modo che i gas si diffondessero ovunque. La manifestazione fu fermata di fronte all’Hilton, dove soggiornavano i candidati. La “battaglia di Michigan Avenue”, proseguita per ore, si svolse così in diretta tv. Con i gas che invadevano le sale dell’albergo, giornalisti famosissimi come Dan Rather maltrattati e o picchiati di fronte alle telecamere, medici fermati e bastonati, decine di feriti e di arresti.
Quel giorno a Chicago la polizia perse completamente il controllo. Politici democratici e giornalisti denunciarono la violenza cieca, un delegato accusò di usare metodi da Gestapo il sindaco, che rispose a muso duro, inquadrato dalle telecamere: «Vaffanculo figlio di puttana ebreo». L’agosto di Chicago radicalizzò l’intera situazione, rese dilagante il movimento contro la guerra nel Vietnam, ma spinse anche a destra gli americani spaventati dal disordine.
Non finì lì.
L’anno seguente sette degli organizzatori delle manifestazioni, tra cui Rubin Hoffman e Hayden, più il numero due del Black Panther Party Bobby Seale furono processati con le accuse di cospirazione e di aver traversato il confine dello Stato con l’intento di provocare disordini, crimine federale dal 1968. Seale di rinviare l’udienza per dare tempo al suo difesnore di riprendersi dai postumi di un’operazione. Il giudice, che si chiamava anche lui Hoffman rifiutò. Specificò anche di non essere parente dell’imputato Abbie che reagì urlando «Daddy, dady, ma come non mi riconosci più?». Il siparietto comico durò poco. Seale chiese di potersi difendere da solo, rivendicando i propri diritti costituzionali. Il giudice rifiutò e dopo le rumorose proteste della Pantera ordinò che per giorni fosse portato in aula legato a una sedia, incatenato e imbavagliato. Quindi lo condannò a una pena esorbitante, quattro anni di carcere, per oltraggio alla corte. Ma tutte le accuse contro Seale caddero in seguito alle decisioni anticostituzionali del giudice.
Il processo proseguì contro gli altri imputati, i “Chicago Seven”. Furono tutti assolti dall’accusa di cospirazione ma cinque di loro, tra cui i tre principali, furono condannati a cinque anni per l’accusa di essere entrati nello Stato per creare disordini. In appello, nel 1972, molte delle accuse caddero di nuovo in seguito al comportamento scorretto del giudice Hoffman ma anche per le accuse di cui gli imputati furono riconosciuti colpevoli il nuovo giudice decise di evitare il carcere.
Una rockstar inglese trasferitasi negli states, Graham Nash, dedicò a quei fatti, gli scontri e il processo una canzone che fece epoca: Chicago. La memoria di quella settimana è sopravvissuta alla fine del Movimento negli Usa, alla morte della controcultura, alla scoperta delle meraviglie del reaganismo da parte dei leader hippies Rubin e Hoffman, e alla loro scomparsa in tempi più recenti.
Due anni fa, il Washington Post ne parlava così: «La convenzione democratica del 1968 a Chicago fu un disastro ignobile, violento e senza precedenti». Proseguiva citando Haynes Johnson, uno dei grandi reporter americani che era a Chicago in quei giorni: «Per l’impatto psicologico e le conseguenze politiche di lunga durata eclissò ogni altra occasione simile nella storia americana, distruggendo la fiducia nei politici, nel sistema politico, nel Paese e nelle sue istituzioni. Nessuno di quelli che erano lì o che seguirono gli eventi in tv può dimenticare ciò che successe di fronte ai loro occhi».