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Tremate, questa è Roma!. Nasce così l’impero romano e la civiltà che arriva fino ai giorni nostri nel nuovo film di quel regista ambizioso e innovatore che è Matteo Rovere, già reduce dal successo di Veloce come il vento. Il Primo Re racconta, rivisita e reinterpreta in una chiave che mescola realismo ed epica, il mito di Romolo e Remo e della creazione di Roma, come città e come istituzione sociale alle origini della società moderna.
Con la fotografia di Daniele Ciprì che aiuta ad evocare immagini alla Revenant o i punti di vista di Dunkirk come conferma lo stesso Rovere, il Primo Re punta tutto sul rapporto tra i due fratelli e su quello tra loro, il potere e il divino. Che gli Dei ne guidino il destino per la creazione di un impero? O è solo superstizione e necessità di lasciare al fato ciò che invece potremmo controllare noi stessi?
Alessandro Borghi è un Remo che ha in sé tanto di Romolo, interpretato dal giovane ed efficace Alessio Lapice.
Nel suo trasformarsi in potente guerriero, lascia che l’oscurità lo pervada e con essa il freddo, la fatica, la terra che diventa parte della pelle e non lo lascia mai. Recitato in protolatino per aumentare il realismo, il Primo Re trasuda umanità e verità anche se di fatto si fonda su tante versioni di una storia di cui sappiamo ben poco e che si presta alla fantasia. Con accanto il suo gemello cinematografico, Alessio Lapice, Alessandro Borghi descrive la sua esperienza “epica” nella Roma ( la terra che lo diventerà) del 753 a. c. diretto da colui che ha avuto il coraggio di lanciarsi a capofitto in un genere e in un’impresa in cui nessuno aveva osato prima.
Come è stato vivere questa avventura con Alessio Lapice, già vi conoscevate?
Non ci conoscevano prima, ci siamo conosciuti ai provini, ricordo perfettamente che appena Alessio è uscito io e Matteo ci siamo guardati e ci siamo detti che al di là del provino meraviglioso, non avremmo trovato mai uno che mi assomigliasse di più di Alessio. Da lì è iniziato questo percorso enorme, che ricomincerei daccapo domani se fosse possibile, fatto di fatica, di sfide, di relazioni, di mettersi a disposizione degli altri e della storia. Ho trovato in Alessio chi ero io quando ho cominciato a fare questo lavoro, un me giovane che ha tante cose da dire e da raccontare e mi piace pensare di averlo avuto accanto all’interno di questa cosa, è come restituire qualcosa.
Come ci si sente a fare parte di un film che è un unicum per ora nel panorama del cinema italiano?
Mi piace l’idea di aver fatto un film che finora non si era mai provato a fare, sia dal punto di vista produttivo che di ambizione perchè Matteo rovere c’è, grazie a Dio e lotta insieme a noi.
Remo è il fratello maggiore, la persona più forte in un rapporto molto intenso
Dico spesso che il film è sicuramente una storia d’amore due esseri umani che potevano essere uno solo, due facce della stessa medaglia, due modi diversi di vedere qualcosa. Come dice sempre anche Alessio, partono dalla stessa base, sono due pecorari, due persone umili che cercano di sopravvivere in un contesto umano molto difficile, vengono travolti nel verso senso della parola da qualcosa che li costringe ad avere a che fare con delle scelte. All’interno di queste, due percorsi diversi e le tematiche di accettazione del divino e di accettazione del destino. Questo film dimostra secondo me quanto all’interno di un rapporto di fratellanza stretto per quanto tu possa provare a sciogliere dei nodi, alla fine un nodo rimane sempre e non ti consente mai di allontanarti davvero ed è il motivo per cui alla fine Remo decide di lasciare spazio al fratello, di immolarsi, pensando che, se lui è stato tentato ed ha ceduto, il fratello invece no ed è lui la persona giusta per fondare la città.
Romolo accetta il divino mentre Remo lo rifiuta?
Romolo fa fatica ad accettare che qualcuno abbia deciso per lui. Io combatto tutti i giorni con l’esistenza del destino e come se accettandolo andassi a levarmi qualche merito. Remo una mattina si alza e capisce che deve essere lui l’incarnazione di Dio e di essere in grado di portarla avanti. Nel film si vede la nascita del concetto di comunità, chi decide di far parte di una comunità alla fine trionfa, l’individualismo alla fine non paga, da sempre e per sempre. Remo si rende conto poi di essere lui quello più debole e che Romolo è colui che deve guidare una città.
Ci racconta della difficoltà del recitare in protolatino?
Diciamo che è stato più complicato pensare di farlo che farlo, ho avuto una sana paura all’inizio quando Rovere mi ha detto del protolatino, ho detto vabbè, leggendo la sceneggiatura ho capito che avrei fatto una figuraccia. Mi esercitavo su registrazioni audio delle battute del film per assimilarle.
Cosa le ha lasciato questo film?
Mi ha lasciato tutto quello che si vede nel film nel senso che la prima volta che ho visto il film finito ho avuto la sensazione che mi fosse stato restituito qualcosa. In questo lavoro metti in conto la fatica, il fango, il freddo, stare fuori casa due mesi, stare a dieta, allenarti ma non le considero una fatica ma parte di un percorso che arricchisce. Ad un certo punto ti fai un mezzo schema mentale su cosa devi fare, come uccidere un un cervo, lottare per esempio. Poi quando hai elaborato razionalmente, subentra la natura e quello che pensi di tenere sotto controllo, si rivela differente perchè devi farlo nudo, al freddo, di notte nell’acqua con la pioggia. Immagini questa scena in una maniera e poi vai sul set e non riesci neanche a chiudere le dita delle mani. Il film mi ha lasciato il rapporto con la terra, con il pianeta terra proprio, l’idea di mangiare sempre in mezzo al bosco. Non ci si potevi più lavare, il primo albergo che ci ha ospitato ha chiesto il rimborso delle lenzuola, pensate. Quando sono tornato dal set, un giorno a via del banco di santo spirito mi hanno trovato che dormivo sul marciapiede, ho dovuto ricivilizzarmi.