Cinema Giulio Cesare. Festa del Cinema di Roma 2023. In sala C’è ancora domani, opera prima di Paola Cortellesi, dopo un’anteprima completamente esaurita e un red carpet pieno di nomi e di speranze. Serata di gala e i primi riconoscimenti. Una rincorsa. Il film nelle sale per mesi. All’iniziativa di Una, nessuna, centomila alla presenza del cast, tantissimi giovani. Il lunghissimo viaggio del film va oltre i 32 milioni del record d’incassi di due anni fa. Raggiunge gli abbonati di Sky e Netflix e l’home video, e giunge alle tante arene estive del 2024, facendo sognare, commuovere, indignare, il pubblico, tra spettatrici di ogni età, nel ricordo di troppe nonne e mamme del Novecento sminuite, mortificate, percosse, uccise.

Nella stessa stagione accanto ai trionfi internazionali di C’è ancora domani, arriva l’affermazione con il terzo incasso 2024 di Un mondo a parte di Riccardo Milani, collega e compagno di vita della regista, con la quale condivide una magnifica figlia e l’affetto per le montagne d’Abruzzo. E ancora, magnifiche foto di scena in mostra alla Casa del Cinema, nella gioiosa fatica del Testaccio di una Roma appena liberata. Oggi quel film, che ha cambiato la storia del nostro cinema e indicato nuova consapevolezza alle donne, è selezionato per il secondo anno consecutivo nel lunghissimo elenco di 323 film in nomination per la 97esima edizione degli Oscar, dopo che l’anno precedente, aveva affrontato altri 203 titoli.

There is still tomorrow, titolo internazionale, è già parte della nostra storia, come La dolce vita, forte del successo presso le platee di 123 Paesi del mondo. Ha mietuto premi ovunque, rivelato talenti, attratto nazioni poco inclini al cinema italiano, creando dibattiti, innamoramenti, idiosincrasie. Lo ha fatto saldando bianco e nero del nostro Neorealismo all’ironia da commedia nera di Monicelli e Risi; svelando la povertà del maschio sul sentiero di Ferreri, e cogliendo l’arma del racconto in musica per alleggerire una violenza d’epoca e rapporti difficilmente rappresentabile. Proverà a portare a Los Angeles un messaggio artistico del nostro migliore cinema, più giovane per contenuti, immagini, interpreti, essendo stato capace di rivoluzionare l’ambiente a livello produttivo e distributivo. Sapremo già il 17 gennaio se le votazioni chiuse al giorno 12 avranno premiato o meno il Nuovo sguardo italiano sul Cinema.

Le ragioni per amare questa pellicola, che alcuni all’opposto avversano senza motivi logici, sono molte. Il cast funziona benissimo, ha le facce giuste e racconta al meglio la dignità, la rabbia, la fame, la povertà di quell’epoca. Il racconto è apparentemente semplice: viene sollevato il velo ipocrita di una famiglia come tante. Perché la violenza che colpiva i minori e le donne sotto patriarcato era tanta e accettata dalla società, anche se quelle donne e quei bambini avevano liberato l’Italia dal nazifascismo. In ogni casa c’era chi comandava e chi eseguiva, in una subalternità che attraversava ceti sociali, fedi religiose e politiche, ricchezze materiali.

Essere donna, in Italia, significava avere principalmente il riconoscimento sociale del ruolo di madre o di persona dedita alla cura della casa e del patrimonio, secondo regole e limiti decisi da un mondo di soli uomini, che potevano letteralmente anche decidere della sua vita. Quelle donne, dai volti magri, dagli occhi grandi come la fame, meno alte e libere di oggi, si accontentavano di una vita di casta, senza guardare al domani, e anzi contribuendo a frustrare i tentativi delle più coraggiose di combattere una società immobile e asfittica per sovvertirla.

Le donne non erano ancora unite e gli uomini erano troppo forti, solidali e violenti per arretrare. E invece C’è ancora domani racconta proprio l’unica favola possibile ai tempi: rivendicare sé stesse e la propria libertà contro le volgarità e le botte di chi pretende di schiacciare una donna a letto o contro un fornello. Una ribellione intelligente e silenziosa, di piccole gocce in grado di scavare massi, nasce e si compie in un ambiente ristretto, di prossimità, e poi diviene eredità per la generazione successiva, perché solo cambiare permette di continuare a vivere. Un film tanto potente quanto leggibile, nei gesti affettuosi e autentici comunicati con le mani della Cortellesi, che ne è protagonista, contro le mani ottuse e assassine di Valerio Mastandrea, marito in scena e figlio coerente di un Giorgio Colangeli rozzo e cinico come lui. Romana Maggiora Vergano, la figlia, avrà il coraggio necessario di cambiare strada e destino. Sullo sfondo, donne capaci di vendere frutta e avvertire il passaggio della Storia come la rivelazione Emanuela Fanelli, o di essere giuste datrici di lavoro, leggendo oltre i silenzi, come Paola Tiziana Cruciani. E un poetico Vinicio Marchioni, truce in Diamanti di Ozpetek nel ruolo di un marito violento e malato, ma qui meccanico dell’anima, degno di incarnare l’idea stessa dell’amore maschile per le donne, quello fatto di cose povere, semplici, di baci sognati che profumano di cioccolato americano e di olio di camion.

Deve essere visto, questo film, da ogni donna, perché trovi riferimenti tra la storia e la propria condizione presente, e va mostrato a ogni uomo, perché comprenda la responsabilità del ruolo, e il carico antico di morte che reca ogni corpo maschile usato per offendere, ogni volta che una mente offuscata dimentica di rendere grazie alla tenerezza e al valore di ogni donna.