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Garante dei detenuti, oppure delle “persone private della libertà”? Il sociologo Nando dalla Chiesa ha un po’ polemizzato sul fatto che ultimamente non si dica più “garante dei detenuti”, come se fosse una sorta di travestimento semantico. In realtà la questione è molto più semplice. In particolare, sia il garante nazionale che quello regionale, ha diversi ambiti e funzioni che non si riduce ai soli detenuti, ma a tutte quelle persone sottoposte alla restrizione della libertà sia di “fatto” che di “diritto”.Non c’è quindi nessuna intenzione di rendere tabù l’aggettivo “detenuto”. Con nota verbale 1105 del 25 aprile 2014 indirizzata al Sottocomitato per la prevenzione della tortura delle Nazioni unite, la Rappresentanza permanente italiana presso le Nazioni Unite, a Ginevra, ha indicato il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale quale Meccanismo nazionale di prevenzione ai sensi del Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002 e in vigore per l’Italia dal 3 maggio 2013, a seguito dell’approvazione della legge di ratifica 9 novembre 2012, n. 195. Alla luce di quanto dichiarato dalla Rappresentanza italiana, i Garanti regionali e locali sono parte del Meccanismo nazionale di prevenzione sotto il coordinamento del Garante nazionale. A tal fine il Garante nazionale, con nota prot. 3704 del 8.6.2017, ha chiesto ai Garanti regionali di manifestare il proprio interesse ad aderire formalmente alla Rete del Meccanismo nazionale di prevenzione.Quindi, di che cosa si devono occupare i garanti? Osservare e rilevare i contesti nei quali vengono violati i diritti delle persone private della libertà personale. Ad esempio, il Garante nazionale, tra il marzo del 2019 e i primi mesi del 2020 ha visitato 70 luoghi di privazione della libertà in 15 regioni. Ovvero non solo le carceri, ma anche gli Istituti minorili, Centri per il rimpatrio, Residenze per anziani, Residenze per le misure di sicurezza psichiatriche, Hotspot, Servizi ospedalieri psichiatrici di diagnosi e cura, camere di sicurezza e luoghi di interrogatorio delle Forze dell’ordine. Oltre a ciò l’autorità del Garante ha monitorato più di 46 voli di rimpatrio forzato. Come detto, anche i garanti regionali hanno diversi ambiti da monitorare. Non solo, appunto quello carcerario. Con la legge 17 febbraio 2012, n. 9, di conversione del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, il potere di accesso nelle strutture penitenziarie è stato esteso anche alle camere di sicurezza delle Questure, delle caserme dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia Municipale, secondo quanto disposto dall’art. 67bis dell’Ordinamento penitenziario. Infine, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, come modificato dalla legge di conversione 13 aprile 2017, n. 46, le disposizioni di cui all’articolo 67 dell’Ordinamento penitenziario si applicano anche nei Centri di permanenza per il rimpatrio degli stranieri presenti sul territorio nazionale privi di titolo di soggiorno, e quindi il Garante ha potere di accesso senza necessità di autorizzazione anche in tali strutture. Quindi, ecco svelato perché sempre più spesso finalmente si parla di “garante delle persone private della libertà”. D.A.