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È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. Qualcuno deve pur dirvelo. È così lampante, chiunque se ne accorgerebbe: state crescendo una generazione di utenti di psicoterapisti, psicologi e psichiatri, con l' unico beneficio sociale di contribuire alla futura crescita del fatturato di questi professionisti e del PIL nazionale degli anni '30\'40. La vostra innata tendenza alla cura troppo spesso sfocia in un'accondiscendenza basata sulla paura. Sono anni che mi interrogo su cosa temiate, e alla fine l'unica risposta sensata che ho trovato è che vi sentite schiacciate da un ancestrale senso di colpa, e dall'inadeguatezza del vostro ruolo di genitori a cui nessuno vi (ci) ha preparato, ma che è condizionato dalle aspettative di tutto il mainstream delle pubblicazioni a indirizzo pedagogico per genitori, dai consigli delle amiche, dagli articoli della “psicoantrocounselor ad indirizzo filosofico” di turno, o peggio ancora da una sconosciuta blogger Australiana che sta viaggiando il mondo in kayak con i suoi tre figli di quattro anni, due anni e dieci mesi. La vostra tendenza alla verbalizzazione sta creando la seconda generazione di piccoli satrapi poco o per nulla avvezzi alle delusioni, anche quelle assurde e irragionevoli, che inevitabilmente la vita presenterà loro. Voler spiegare ad un bambino di tre o meno anni ogni fenomeno nell'universo è una presunzione per la quale sarete punite: le parole generano parole e quindi ansia. Care mamme, qualsiasi bambino piccolo di fronte a un “no” senza spiegazioni si abitua a considerare questo diniego come un dato di fatto dovuto all'esperienza del genitore e ne viene rassicurato. Se invece ogni istanza viene motivata, è facile che il bambino impari presto a creare un nuovo livello di scontro\richiesta, innescando un circolo vizioso senza fine in cui la posta in palio siete voi, il vostro asservimento supino, una continua richiesta di attenzioni che in realtà cela, non il desiderio di essere aiutati o contenuti, ma solo di capire quanta influenza riesce ad avere su di voi. Insomma il controllo sulla vostra vita. Il vostro desiderio di mettere al riparo i vostri figli da qualunque avversità, sofferenza o dolore della vita ricorda lo schema di Siddharta Gautama poi divenuto Budda, che era un principe il cui padre (almeno di questo non siete “colpevoli”) faceva vivere in un palazzo in cui venivano rimosse tutte le tracce della sofferenza, dell'invecchiamento e della morte fino al punto ad arrivare a far raccogliere le foglie secche cadute dagli alberi ogni notte affinché lui non le vedesse e non sapesse cosa fosse il dolore e la morte. Un giorno il giovane uscì dal palazzo e vide un vecchio, un malato e un morto ed fu talmente colpito queste visoni che abbandonò il palazzo per cominciare la sua ricerca (vita). E' una storia emblematica e simbolica, è quello che è successo a tutti noi e che inevitabilmente capiterà anche ai vostri\nostri figli.
Vorreste evitar loro le brutture del mondo, ma dovreste anche considerare che la sofferenza e “l'ingiustizia” fanno parte integrante di quella esperienza totalizzante chiamata vita. Che l' assenza di problemi è un' utopia, ma che invece l'unica felicità indistruttibile che conosceranno sarà il superarli, se possibile (ed in questo è fondamentale il vostro ruolo) usando creatività ed empatia. Certo lo so, avete tante cose a cui pensare: questa società vi costringe a troppi ruoli tutti insieme, ma la storia che vi rende tanto orgogliose secondo la quale l'uomo è in grado di fare solo una cosa alla volta, mentre le donne agiscono in multitasking vi sta rovinando. Voi agite sì in multitasking, ma è proprio questa la causa della vostra infelicità. Infatti una delle prerogative della presa di coscienza in occidente e dell'illuminazione in oriente è la consapevolezza: l' attenzione ai propri pensieri, alle sensazioni, agli schemi motori e ovviamente a ciò che ci circonda. Il multitasking vi porta a fare così tante cose insieme che poi non siete mai consapevoli di nulla ed è per questo che vi sentite così trafelate, che siete sempre in ritardo e alla fine della giornate vi sentite come se aveste fatto i cinquanta chilometri di marcia. Troppe volte vi vedo aggredire i vostri figli per situazioni che non necessitano di alcun rimprovero, o spingerli verso traguardi che non sono i loro. Ma soprattutto dovreste smetterla di dar loro la continua cognizione del dolore: la prossima volta che vostro figlio avrà un piccolo incidente, provate semplicemente ad abbracciarlo facendogli sentire che ci siete e solo dopo preoccupatevi del ghiaccio da mettere. Ma d' altra parte se li abbracciate troppo, non li rimproverate mai e non li spingete a superare i loro limiti non otterrete comunque un buon effetto. Quindi mi permetto di suggerirvi di considerare la maternità come una parte, non il centro, della vostra vita. Tanto qualsiasi cosa farete sarà comunque quella sbagliata.