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Nel centenario di una delle battaglie dagli esiti più catastrofici della storia italiana, con più di 40mila caduti tra le fila del Regio esercito in quattro giorni di combattimen-ti, Gervasoni analizza le gesta di chi legò il proprio nome a quella disfatta: il Capo di stato maggiore Luigi Cadorna, «che commise parecchi errori strategici, il peggiore dei quali fu di far ricadere la responsabilità della disfatta sulle sue truppe»
«Caporetto è un po’ la metafora dell’italianità: storicamente, l’Italia è sempre arrivata sul ciglio del burrone prima di trovare le forze per rialzarsi». Marco Gervasoni, professore di Storia contemporanea e di Storia comparata dei sistemi politici all’università Luiss di Roma, racconta così la battaglia combattuta il 24 ottobre 1917 dall’esercito italiano contro l’Impero Austro- ungarico e la Germania lungo la valle dell’Isonzo ( oggi in Slovenia). E così spiega anche il titolo provocatorio del saggio A Caporetto abbiamo vinto, pubblicato nel 2017 da Rizzoli, a cura di Stefano Lucchini.
Professore, sono passati cento anni dalla disfatta di Caporetto. Una battaglia che è diventata metafora di rovinosa sconfitta anche nel lessico comune.
Guardi, questo era vero per qualche generazione fa e oggi lo è per gli addetti ai lavori, i giornalisti e gli storici. Non credo, invece, che ai giovani di oggi il termine “Caporetto” evochi ancora qualcosa. Del resto, anche questo fa parte di una rottura della memoria storica, su cui forse ci sarebbe da interrogarsi. Lo diceva lei: sono passati cento anni dalla battaglia e sembrano molti, ma dal punto di vista storico sono pochi.
Di quella battaglia si ricorda la disfatta e il suo artefice, il famigerato capo di stato maggiore Luigi Cadorna. Quali errori vennero commessi dall’esercito italiano?
La battaglia iniziò nella notte del 24 ottobre 1917. L’attacco venne portato da parte dell’esercito austroungarico e dalle divisioni tedesche, giunte dal fronte russo e questo fu il primo errore strategico degli italiani: lo stato maggiore del Regio esercito era a conoscenza già da settembre dei movimenti delle truppe tedesche, liberate dal fatto che la Russia aveva abbandonato il fronte perchè già nella fase pre- rivoluzionaria, ma ne aveva sottovalutato la rilevanza. Il secondo errore fu commesso direttamente da Cadorna, il quale poche ore dopo l’inizio dell’azione austroungarica - diede l’ordine alle truppe di non ritirarsi ma di mantenere la posizione. Questa scelta provocò il disastro, perchè l’esercito italiano non era in grado di reggere l’urto dell’attacco. Infine, il terzo e forse maggior errore di Cadorna fu quello di far ricadere la responsabilità della disfatta sui soldati.
Luigi Cadorna era figlio di un eroe risorgimentale e fu padre di uno dei comandanti della Resistenza. La storia a lasciato a lui il ruolo peggiore di generale incapace che volta le spalle alle sue truppe?
Se la storia fosse un film, a Cadorna spetterebbe la parte del cattivo. Da storico, però, non me la sento di dare patenti di buoni e cattivi. Cadorna, che veniva chiamato “Il capo” dal suo esercito, commise il suo errore peggiore quando scaricò la responsabilità della sconfitta di Caporetto sulle diserzioni dei suoi soldati. Eppure, Luigi Cadorna non era diventato Capo di stato maggiore del Regio esercito per caso: era un soldato di grande valore, addestrato nelle migliori accademie militari italiane. Il suo limite era, probabilmente, quello di essere legato a tecniche militari antiquate e a una visione antica della guerra e della disciplina militare. La storia, però, racconta e non condanna e nemmeno io mi sento di condannare in toto il generale, che ha fatto molti errori ma non va demonizzato.
Il titolo del libro di Stefano Lucchini, A Caporetto abbiamo vinto, allude però proprio al fatto che, dopo la sconfitta, Cadorna venne sostituito da Armando Diaz.
Io ho apprezzato molto il libro, che espone una tesi molto interessante. Nel saggio, infatti, si sostiene provocatoriamente che la rimonta e la vittoria nei mesi successivi a Vittorio Veneto sia stata determinata dalla disfatta di Caporetto. Dopo la sconfitta, infatti, Cadorna è stato sostituito e tutto il Paese e la sua classe politica hanno affrontato con spirito diverso la guerra.
Perdere una battaglia per vincere una guerra, quindi?
Diciamo che questa parabola è un po’ il tratto distintivo della storia italiana: prima di ottenere un risultato, noi italiani dobbiamo arrivare a vedere il burrone. Fa parte della nostra storia e non è così per altre nazioni. Del resto, si tratta di una tesi sostenuta anche in passato: Giuseppe Prezzolini, nel 1918, scrisse che il vero spirito degli italiani si era mostrato a Caporetto, perché avevano saputo reagire alla sconfitta. Meno invece si era visto a Vittorio Veneto, dove Prezzolini descrisse gli italiani come retori bolsi e pieni di loro stessi.
E il governo come reagì alla sconfitta?
La disfatta fu impossibile da nascondere, nonostante la pesante censura sui mezzi di informazione. Allora il neo- nominato governo Orlando fece una mossa intelligente: ammise la sconfitta e chiamò all’unità nazionale sulla scia del messagio «La patria è in pericolo». Questa linea suscitò una forte reazione da parte della politica, che si compattò. Anche la sinistra e soprattutto i socialisti, che erano contrari alla guerra, aderirono e Filippo Turati tenne un discorso molto bello che si concludeva con la frase: «A monte Grappa è la patria». La contrarietà della sinistra alla guerra si fondava sul fatto che non fosse una guerra di difesa, ma il pericolo degli austriaci lungo la linea del Piave la fece diventare tale. Anche in questo senso, forse, si può parlare di “utilità” della sconfitta di Caporetto.
Con la scelta di Armando Diaz davverò si cambiarono le sorti della guerra?
Non fu solo quello. Nei mesi successivi si creò un nuovo rapporto di solidarietà tra politica ed esercito, ma a cambiare fu soprattutto il legame tra l’esercito e il popolo. La sconfitta fece riavvicinare i soldati ai civili - non va dimenticato che i fanti erano tutti contadini, tanto che la I Guerra Mondiale è stata definita anche la “guerra dei contadini”- e questo sostegno e spirito di popolo ha consentito una reazione forte da parte delle truppe. La scelta di Diaz, invece, ha segnato l’introduzione nell’esercito di una disciplina diversa e meno rigida rispetto a quella imposta da Cadorna.
Quindi quella di Vittorio Veneto è stata una vittoria collettiva?
Oltre alla sostituzione di Cadorna e di molti vertici dell’esercito, Caporetto provocò il cambio di governo e anche di strategia militare. Il merito di Diaz in quanto Capo di stato maggiore è stato importante, sì, ma i fattori che hanno determinato la vittoria sono stati molti, tra i quali l’arrivo dei rinforzi americani e, soprattutto, il crollo per fattori interni dell’esercito austroungarico. La storia, però, ci ha consegnato il famoso proclama vittorioso di Armando Diaz all’indomani dell’armistizio.
Lucchini, nel suo libro, chiede provocatoriamente di sostituire nelle strade e piazze italiane il nome di Luigi Cadorna con quello del figlio Raffaele, comandante della Resistenza. Lei cosa ne pensa?
Che, come spesso accade, la vittoria è di tanti e la sconfitta di uno solo. E’ vero, certo, che quelle strade e piazze sono state intitolate a Cadorna dal fascismo ma io non me la sento di bocciare in toto Cadorna, nè di chiudere la sua figura nell’immagine che ne diede il regime. Anche perchè, se si vogliono mettere etichette, il vittorioso Diaz fu molto più fascista del perdente Cadorna. Insomma, ritengo che sia giustissimo discutere in sede storica di queste vicende e capisco il punto di vista di Lucchini che propone di sostituire il padre con il figlio, ma cambiare la toponomastica rischia di aprire conflitti della memoria. Sono d’accordo, invece, con l’iniziativa presa dal Generale Graziano, per restituire in parte la memoria ai soldati fucilati da Cadorna.
Si riferisce ai morti fucilati a Caporetto?
Sì, in merito è stato aperto un processo per restituire giustizia e distinguere chi venne fucilato in seguito a regolare processo militare da chi, invece, venne fucilato senza senza processo. A Caporetto, il generale adottò metodi militari molto rigidi e fece fucilare moltissimi soldati: alcuni perchè scappavano, altri invece morirono centrati nel mucchio, perchè Cadorna ordinò di sparare per spaventare le truppe e indurle a rimanere al loro posto. Ecco, quei militari morirono senza processo, vennero degradati e le loro vedove non ricevettero alcuna pensione. E’ giusto che, a cento anni da quei fatti, se ne riabiliti la memoria e si restituisca loro l’onore.