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Ci sono dei personaggi nella storia della musica che, grazie a una creatività fuori dal comune, riescono a dare nel loro ambito un senso a tutto ciò che li ha preceduti organizzando una sintesi creativa che, oltre a lasciare a bocca aperta chi ascolta, indica la via a chi li seguirà.
Su tutti penso a Bach che, contrariamente a quanto si creda non rappresenta l’inizio della nuova era ( che pur intuisce, ma non adopera più di tanto), ma la fine di quella precedente. Con il suo testamento artistico L’arte della fuga scritta negli ultimi anni della sua vita, chiude di fatto l’esperienza della polifonia.
Pensando a compositori forse meno celebrati, ma non meno creativi e geniali, mi vengono in mente Charles Mingus per il Jazz che, con gruppi relativamente piccoli, in molta della sua produzione, su tutti forse il più emblematico è Ah Hum in cui nel ‘ 59 riesce a trovare una mirabile sintesi tra il mondo delle orchestre swing degli anni ‘ 30 ( Ellington e Basie su tutti) e quello del Bop e dell’Hard Bop in voga in quegli anni.
Il rock, il rhytm and blues, la dance, il metal e le avanguardie del ‘ 900 (…) sono fuse in un unicum inimitabile con testi assurdi, sconci e provocatori da quel genio che risponde al nome di Frank Zappa e per quanto riguarda la musica nera della seconda metà del secolo scorso non si può non considerare anche Prince.
Per la musica generata da campionatori e synth, lo scettro della sintesi creativa va assegnato fuor di dubbio a Bjork Guomonsdottir che in comune con questi ultimi due ha anche la relazione senza mezze misure con l’uditorio: o si ama o si odia. Con lei fu amore al primo ascolto. Non riuscivo, e tutt’ora non riesco, minimamente a comprendere il processo creativo che genera la sua musica.
Mi fu chiaro da subito che gli arrangiamenti fossero di altissimo livello, ma la composizione era fatta partendo da un pianoforte, una chitarra o cosa? Di sicuro non da una base ritmica su cui poi veniva improvvisata una melodia, tagliata e cucita fino ad arrivare a una linea melodica come in tanta musica che spopola al giorno d’oggi.
Sulle scene da quando ha undici anni si è cimentata in mutevoli forme, anche nella veste poco nota di cantante jazz con il disco “Glin Glo” prima di convertirsi al suono elettronica che la caratterizza e con il quale ha giustamente avuto un successo planetario tanto da far dire all’ ex premier dell’Islanda David Oddsson: «Björk ha fatto molto più della maggior parte dei suoi connazionali per rendere famosa l’Islanda».
Lo show con cui ha incantato Roma nella maestosa cornice delle Terme di Caracalla è impeccabile. La fonica, che a questo livello è a pieno titolo parte integrante del processo artistico, è probabilmente la migliore che abbia mai sentito.
Lei è stratosferica, canta senza interruzioni per tutto lo spettacolo; alle percussioni da Samuli Kosminen, un sestetto di flauti ( in realtà spiega che erano sette, ma in questa data sono state sei), un’arpista e il dj venzuelano Arca che fa tutto il resto, ovvero suona ( poco) le tastiere, coordina i loop e presumibilmente è anche responsabile degli effetti dell’arpa, contribuendo a creare un universo intenso, ma giocoso e a vestire con nuova grazia i pochi successi degli album precedenti quali Human beaviour Anchor song e Isobel.
Infatti l’artista più volte nelle interviste ha dichiarato che per rispetto del pubblico trova ingiusto organizzare i concerti in modo di creare una sorta di karaoke, preferendo far ascoltare l’attuale produzione.
E così lo show corre veloce, riproponendo quasi per intero il suo non e ultimo album Utopia un disco ricco di messaggi positivi che guarda al futuro con una fiducia che, in questo periodo in cui in varie parti del mondo sembrano prevalere gli egoismi, vorremmo condividere. Ma da un genio di tal fatta, oltre una performance stellare in grado di emozionare il pubblico, ti aspetti proprio la lucidità di chi possa avere uno sguardo su una realtà che al momento ci sembra lontana e inafferrabile.
Uno spettacolo visionario in cui nulla, dai costumi alle luci presenti, eleganti e mai invadenti perfette nel suggestivo scenario dell’esibizione, dai bellissimi filmati e dai video mapping proiettati sullo schermo dietro al palco è lasciato al caso. Me ne vado con il rammarico, anche questa volta, di non aver minimamente compreso quale processo creativo si cela dietro le sue composizioni. Speravo che assistendo a un concerto sarei almeno riuscito un pochino a svelare e chiarirmi quell’enigma stupendo che risponde al nome di Björk, ma conscio di aver assistito a uno spettacolo perfetto e forse è meglio così.