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Di Donald Trump, dal 20 gennaio 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America a tutti gli effetti, si può dire e pensare tutto quello che si vuole, ma non che faccia qualcosa di diverso da quello che ha sempre detto di voler fare; si può dubitare che pensi a quello che fa, non c’è dubbio che fa quello che pensa. Tra le cose dette e pensate, e che ora si accinge a fare, la legittimazione, la “codificazione” della tortura.
È una pratica, questa, giustificata con un machiavellismo d’accatto che si riassume nella formula: “Il fine giustifica i mezzi”. In realtà, i mezzi qualificano il fine. Cesare Beccaria nel suo ineguagliato Dei delitti e delle pene, dimostra che la tortura ( al pari della pena di morte) è strumento non solo eticamente ripugnante, ma anche praticamente inefficace, contro- producente. Qui soccorrono due “classici”: Michel de Montaigne, quando nei suoi Essais annota che “dopotutto è un mettere le proprie congetture a ben alto prezzo, il volere, per esse, far arrostire un uomo” ( ai suoi tempi, ma anche ai nostri: non manca certo chi nutre smisurata considerazione delle proprie congetture; infatti è un fiorire di roghi). L’altro “classico” è Alessandro Manzoni: la sua Storia della colonna infame, è edificante, terrificante racconto sul dove conduce la tortura e il suo uso.
Ma per tornare al presidente Trump: intervistato da ABC News, conferma quanto annunciato in campagna elettorale; il proposito di tornare all’utilizzo del waterboarding, e anzi, l’intenzione di andare oltre: non solo la tortura nei confronti di terroristi o presunti tali, ma la possibile uccisione dei familiari dei terroristi dello Stato islamico, contromisura per fermare i terroristi.
L’ISIS però non detiene il monopolio del terrorismo; dunque è da credere che la pratica, una volta messa in essere, sarà tranquillamente estesa, con devastante effetto ed evanescente limitazione.
Il presidente Trump pare sia convinto che la cosa funzioni. Su cosa poggi questa sua convinzione non è dato sapere. Ci dice però che si baserà su quello che a loro volta valuteranno il futuro capo della Cia, Mike Pompeo, il responsabile della Difesa, James Mattis, e non meglio precisati collaboratori: “Se loro non vogliono, va bene. Se invece vorranno, mi impegnerò anche io”. Mattis, che pure non è da iscrivere tra le “colombe, e che per i suoi trascorsi militari è soprannominato “Mad Dog”, fa sapere di non credere che la tortura sia strumento affidabile, efficace. Per non parlare del presidente della commissione che al Senato si occupa delle Forze Armate, il repubblicano inossidabile John McCain: “Non riporteremo la tortura negli Stati Uniti”. Radicale affermazione che probabilmente deriva anche dai suoi trascorsi di prigioniero nei gulag vietnamiti: lui sì, sa cosa sono le torture. Vedremo gli altri, come si esprimeranno; se si continuerà nella pratica, antica e solida ( e non esclusiva degli americani), del “si fa ma non si dice”; oppure se si cercherà di dare a queste pratiche una qualche ulteriore parvenza legale.
Il più che discutibile Patriot act, per esempio, attribuisce all’Attorney General poteri straordinari; tra i quali la possibilità di trattenere in stato di detenzione stranieri sospettati di terrorismo, senza che siano rivolte particolari accuse e senza dover rispettare le normali procedure. La prigione a cielo aperto di Guantanamo si legittima appunto con il Patriot act.
Patriot act e waterboarding ( vale a dire tortura, senza “se” e senza “ma”), sono figli di una tremenda “emergenza”, le stragi del settembre 2001 alle Twin Towers e al Pentagono. Conseguenza, si può dire, di un tremendo attacco terroristico. Il presidente Trump ora però solleva la questione “preventivamente”.
Si dirà: è Trump.
Già. Ma Trump ora è il presidente degli Stati Uniti d’America, “il comandante in capo”. E la sua convinzione, probabilmente, è condivisa da tanti, e non solo nel suo “campo” politico.
Alan Dershowitz è un famoso avvocato e giurista; docente ad Harvard, paladino dei diritti civili, protagonista di processi che hanno fatto epoca, dal caso Von Bulow a O. J. Simpson. È anche autore di Terror Tunnels, dove scrive: “ Torture may be the only or best tactic for saving lives”. La tortura può essere il solo e migliore strumento per salvare delle vite umane.
Qual è la differenza tra il presidente Trump e il liberal Dershowitz? In nome della sicurezza nazionale Dershowitz giustifica i “ targeted killings”, gli assassinii mirati ed extragiudiziali: “… la prevenzione del terrorismo richiede una scelta di mali”.
Come il presidente Trump che vorrebbe poter eliminare i familiari dei terroristi… Ve lo ricordate Il cavaliere e la morte di Leonardo Sciascia? C’è un delitto, rivendicato dai terroristi “I figli dell’ 89”. Il dubbio del commissario è: i figli dell’ 89 sono stati creati per uccidere, o si uccide per creare i figli dell’ 89? Lancinante interrogativo, sempre attuale. Di quei figli dell’ 89, riflette il commissario, “ se ne sentiva il bisogno… Occorre che ci sia il diavolo perché l’acqua santa sia santa”. Forse si è oltre: del diavolo c’è sempre meno bisogno… Marco Pannella, inascoltato, per anni, ci ha messo in guardia da una peste che dilaga, e tutto inquina, ammorba. Una sintesi della peste descritta da Manzoni, da Edgar Allan Poe, da Albert Camus. Forse oggi cominciamo ad accorgerci dei suoi micidiali effetti.