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Al funerale di Giorgio Bocca, grande firma ed ex partigiano, i dolenti scelsero di salutarlo intonando Bella Ciao. Decisione discutibile, avendo Bocca assicurato che i partigiani non l’avevano mai cantata.
Al funerale di Giorgio Bocca, grande firma ed ex partigiano, i dolenti scelsero di salutarlo intonando Bella Ciao. Decisione discutibile, essendo Bocca uno di quelli che avevano assicurato che il canto destinato a diventare una sorta di nuova Internazionale, ritinteggiata in rosa pallido, i partigiani non l'avevano mai cantata. Aveva ragione lui o Cesare Bermani, autore del primo studio sulla canzone- simbolo La vera storia di ' Bella Ciao', secondo cui invece qualcuno la cantava, comunque senza grande diffusione.
E' un fatto che i canzonieri della Resistenza usciti quando l'odore della polvere da sparo era ancora acre, nella seconda metà degli anni ' 40 e nei primissimi ' 50, proprio non la nominano e anche l'ipotesi di Bermani, secondo cui sarebbe stata l'inno della Brigata Maiella, sembra poco probabile: il figlio del fondatore della Brigata, Ettore Troilo, cita in un suo libro le canzoni delle Brigata e dell' ' inno' non c'è traccia. Fonti beninformate giurano che la canzone fu presentata alla rassegna di Praga sulle ' Canzoni mondiali per la Gioventù e per la Pace', una delle tipiche iniziative Cominform dell'epoca, e che, complice l'orecchiabilità, il motivo decollò lì.
Come in tutti i pezzi folk, rintracciare l'origine è un'impresa. Carlo Pestelli, autore a sua volta di Bella ciao. La canzone della libertà, parla di canzone- gomitolo, nella quale si intrecciano, anche in questo caso come spesso capita nelle canzoni folk, ' si intrecciano molti fili di vari colori'. Il gomitolo finale arriva al grande pubblico con l'incisione di Yves Montand, allora stella mondiale francese di origine italiana e comunista. L'anno dopo il Nuovo Canzoniere Italiano la presenta al Festival dei Due Mondi di Pesaro, intonata da Giovanna Daffini, e fioccano le polemiche sulla propaganda comunista al Festival. I commentatori vicini alla Dc si scompongono ma poco più di 10 anni dopo, quando Benigno Zaccagnini, l' ' onesto Zac', rappresentante eminente dei morotei viene eletto segretario della Dc i delegati salutano il sedicente nuovo corso proprio col già vituperato motivo.
Oggi la cantano dappertutto. A New York, a Occupy Wall Street, e a Hong Kong, In Cile come in Iraq, a Parigi come a Roma e ieri anche sotto la porta di Brandeburgo. Ci mette parecchio di suo la serie Netflix ' rivoluzionaria' per eccellenza, La casa di carta. Se la cantano lì, nella fiction più antibanche che sia mai stata trasmessa.
Però è difficile credere che Paolo Gentiloni e i rappresentanti del Pse avessero in mente una feroce campagna contro le banche quando, dopo il voto a favore della commissione von der Leyen, hanno dato vita al noto coretto.
La fortuna del canto non- partigiano, sostiene qualcuno, si deve proprio all'assenza di tonalità forti. Niente a che vedere con roba come Fischia il vento, che la vernice rossa non gliela si scrostava di dosso nemmeno a provarci per ore. E' una canzone che poteva andare bene per tutti, fascisti esclusi, e dunque pareva fatta apposta, in Italia, per consentire a quello che si chiamava allora ' arco costituzionale' di festeggiarsi senza troppe tensioni.
Ma in fondo come e perché si sia arrivati a questo esempio eminente di ' invenzione della tradizione' conta poco. Meglio chiedersi cosa l'opzione canora transnazionale indica oggi. Bella Ciao, nonostante le apparenze, non è una canzone di lotta. E' una canzone di resistenza ( con la r minuscola). La può cantare chiunque ritenga di trovarsi alle prese con un potere che opprime, con l'invadenza di una potenza estera, persino con la temuta vittoria elettorale di un partito ritenuto minaccioso. E' una canzone gentile: la può cantare chi resiste con le bottiglie molotov ma anche chi si affida alla resistenza passiva e persino chi si limita ad assieparsi in una piazza. Se non proprio buona per tutti gli usi, quasi.