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Ci chiedevamo qualche giorno fa che fine avesse fatto Steve Bannon. Ne avevamo perso le tracce. Dopo aver infiammato il fronte europeo sovran- populista si era come eclissato.
Il suo “The Movement” sparito improvvisamente, insieme alla prospettiva di fare dell’antica abbazia di Trisulti nel Frusinate una scuola d’élite per aspiranti propagandisti del sovranismo in salsa americana: una bizzarria considerato che l’operazione avrebbe dovuto avere come scenario l’Europa.
Poi il vetusto monastero gli è stato negato e Bannon si è eclissato. Fino alla scorsa settimana, quando Donald Trump, il suo mentore e beneficiario delle “bannoniane” invenzioni elettorali nell’ultima fase della campagna presidenziale, dopo averlo cacciato dalla Casa Bianca senza un motivato perché - plausibile il contrasto con la famiglia del presidente ed in particolare con il marito di Ivanka, Jared Kushner - lo ha in qualche modo “riabilitato” con un tweet.
Il 2 agosto scorso, a sorpresa, il presidente ha mandato un messaggio variamente interpretato. Eccolo: «Bello vedere che uno dei miei migliori allievi è ancora un grande fan di Trump. Steve si è unito a me dopo aver vinto le primarie, ma mi è piaciuto molto lavorare con lui!». Preludio ad una ricomposizione dopo le affermazioni di Bannon sul clan Trump contenute nel libro di Michael Wolff Fire and Fury: inside the Trump White House? Presto per dirlo.
Fatto sta che la presenza dell’ex direttore di Breitbart, ai confini con il Messico ad un’adunata anti- immigrazione l’altro giorno, di sostanziale appoggio alla costruzione dei muri di Trump, sta facendo parlare in America di un riavvicinamento. Che tuttavia non esclude l’interesse di Bannon per l’Europa dalla quale - per dirla tutta e senza giri di parole - è stato “costretto” ad allontanarsi dopo la sua breve stagione di guru di una destra “alternativa”, che poco ha a che fare con una vera destra conservatrice e riformista, dalla progressiva indifferenza che hanno mostrato nei suoi confronti e del suo progetto Salvini e Le Pen, Di Maio e Wilders, oltre ad altri esponenti di secondo piano del populismo continentale.
Si potrebbe dire che ce ne hanno messo i suoi sponsor della prima ora ad accorgersi che Bannon non faceva per loro. Negli ambienti della destra- destra italiana è stato sempre visto con diffidenza; è uscito anche un libretto a più mani che lo sconfessava: Inganno Bannon.
Poi, dopo alcune interviste televisive, molto poco originali, e tanti titoli sui giornali non proprio lusinghieri, si è capito che era un eccentrico “americano a Roma” ( ma anche a Parigi e a Londra) in tour per autopromuoversi. E sostenere ( ma ne avevano bisogno?) l’alleanza tra Lega e Cinque Stelle.
Quella stessa alleanza che oggi dagli Stati Uniti - come anticipa il Corriere della sera pubblicando un estratto che uscirà su Sette Bannon considera fallita. «Penso dice - che quello tra Salvini e Di Maio sia stato un nobile esperimento. Mi piacerebbe vederlo continuare, sarebbe fantastico, ma capisco perché potrebbe non accadere. Hanno cercato di tenere unite due visioni diverse dell’economia, da una parte il salario minimo e dall’altra la flat tax. E poi credo che Salvini stia dando un messaggio a chi lo ha votato nelle elezioni europee».
E ci voleva tanto a capirlo? Mobilitare organizzazioni, raccogliere risorse, spingere energie politiche all’impegno sovranista per concludere, in pochi mesi, che non tutti i matrimoni riescono, è il segno di un fallimento analitico assai grave per chi si propone obiettivi di vasta portata.
I suoi matrimoni, quelli privati cioè, di Bannon, sono stati tre e dalla durata piuttosto breve. Di esperienza, come ammette, dunque ne ha fatta. Insomma, l’uomo che per una stagione non lunga ha tentato confusamente di rivitalizzare una certa destra conservatrice americana, molto meno bisogna dire di quanto riuscì a Sarah Pallin e al movimento del Tea Party, è tornato a casa. Forse ne sentiremo ancora parlare.
Ma i suoi giocattoli europei giacciono spiaggiati sulle nostre coste e nessuno sembra intenzionato a raccoglierli. A dimostrazione che non si sbagliava chi sosteneva che era un bluff politico, una fugace apparizione, una meteora, un’ “americanata” insomma alla quale tanti europei, benché “sovranisti” ( in maniera sui generis), erano stati solleciti ad incoraggiarne l’azione “colonizzatrice” in un campo che non poteva essere il suo. Se non tornerà da Trump, comunque, da qualche altra parte lo vedremo intrufolarsi. L’uomo è abile. Non dimentichiamo che qualche successo l’ha avuto nel mondo delle fiction...