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Costruito con lo sguardo ben rivolto a un’autentica drammaturgia del presente, The Lincoln Lawyer - Avvocato di difesa chiude con un colpo di scena molto ben scritto la sua terza stagione.
I trenta episodi sin qui prodotti e trasmessi da Netflix delineano sicuramente un taglio sperimentale, con nuove contaminazioni e percorsi seriali, a diversi livelli. E se il cuore etico della vicenda è nel diritto-dovere di difendere tutti, specie i meno desiderabili, i poveri, i marginali, l’impianto stilistico rimanda alla migliore tradizione del noir del tipo hard boiled, con figure di antagonisti e detective sporcati dalla vita di strada e molto meno patinati dei tramonti sulla superstrada che pure il serial concede. Qualche strizzata d’occhio al gore dona fascino e spessore alle morti ma senza il compiacimento dell’horror moderno, riportando anzi l’omicidio alla dinamica primaria del conflitto e per questo guadagnando in realismo.
The Lincoln Lawyer è poi, fin dai primi episodi un serial d’azione, dove l’inquadratura e i movimenti di macchina, i dialoghi e le scoperte che danno ritmo alla narrazione, sono sempre serrati, geometrici. Ancora una volta, il contrasto dialettico tra gli esterni ariosi di Los Angeles e le oscurità interiori di tutti i personaggi aggiunge credibilità a una storia che se scritta e interpretata con minore qualità avrebbe raggiunto effetti ben diversi.
E invece questa serie non stanca, riesce a scompaginare ogni schema appena raggiunto con episodi di reale progressione della trama, e maltratta al punto giusto il protagonista e il suo mondo rendendolo vincente e fragile, sicuro e disperato con molteplici twist di sceneggiatura. Nata dall’omonimo film interpretato nel 2011 da Matthew Mc Conaughey, a sua volta tratto da un fortunato romanzo giallo di Michael Connelly, coproduttore della serie, si avvale della Lincoln decapottabile del protagonista, guidata da lui come dalla sua autista, come un identificativo centrale per la narrazione, tanto da usarla frequentemente per dare ritmo e scatti in avanti alla vicenda.
L’avvocato Mickey Haller torna in tribunale da sconfitto e intraprende una strada piuttosto accidentata verso la propria rinascita, alternando difese appassionate di accusati, dialoghi serrati con l’accusa, strategie verso la corte e la giuria, attività investigativa e complesse relazioni affettive.
E se nella Stagione 1 il viaggio sembra destinare Mickey a qualcosa di molto simile a una completa realizzazione, in apertura della Stagione 2 il gioco cambia, ed esplora più nel profondo il suo passato mai risolto e le vite e le morti di mentori, avversari, protetti. L’attività di indagine in studio come in strada non è hollywoodiana, e anzi capovolge i cliché televisivi sulla California per mostrarne le criticità quotidiane, la povertà esistenziale, la delusione senza appello. Anticonvenzionale ma mai in modo eccessivo, The Lincoln Lawyer approda alla terza stagione in crescendo, proponendo a un pubblico sempre più smagato e appassionato un gioco pericoloso e spesso mortale tra verità e menzogna, che scuote coscienza etica e dovere di difesa, fino ad avvolgere tutto tra le spire di un serpente a sonagli. Il finale di puntata, crudele e spiazzante come certi film inglesi, dona la sicurezza di una stagione quattro, da sola in grado di far volare gli ascolti della piattaforma americana.
È raro infatti emozionarsi per la sconfitta, seppur temporanea del protagonista, perché a parte le radicali eccezioni di Hitchcock e Kieslowski, la tradizione occidentale del racconto si chiude sempre con una ritrovata stabilità e la sua vittoria finale. Per il penalista interpretato da Manuel Garcia-Ruffo, la salvezza e anche la stessa sopravvivenza sono sempre ardue da ottenere, mai scontate e guadagnate dopo una complessità di vicende, consegnando a pubblico e addetti ai lavori italiani una importante lezione su come raccontare fatti senza eccedere in parole, evitando chiarimenti, flashback e altri appesantimenti purtroppo ancora canonici nel panorama televisivo nazionale.